Heidi in Giappone
Fino al 13 ottobre 2019

Alla fine del XIX secolo, una bambina originaria delle montagne svizzere conquista la fama mondiale. Negli anni Settanta la popolarità di Heidi cresce grazie a una serie animata giapponese, che sigla il punto di partenza per la fiorente industria degli anime di oggi.

In Svizzera Heidi non è solo la protagonista di un libro per bambini, ma è una sorta di eroina popolare. Questa ragazzina originaria dei Grigioni ha affascinato intere generazioni di lettori. L'opera in due volumi di Johanna Spyri, pubblicata alla fine del XIX secolo, diventa un best seller internazionale già ai tempi dell'autrice.

Tradotta in più di 50 lingue, è ancora oggi molto amata. Heidi non è solo un personaggio letterario, ma diventa ben presto anche il volto della campagna per promuovere il turismo in Svizzera. La sapiente rappresentazione della comunità rurale e dell'idilliaco ambiente montano risveglia il desiderio di natura e tranquillità attirando così numerosi viaggiatori.

Ed è proprio in Giappone che Heidi ottiene un enorme successo di pubblico. Al termine della Seconda guerra mondiale, la popolazione inizia a mostrare un certo interesse verso il mondo alpino idealizzato che, nel 1974, si accentua grazie alla serie animata «Heidi, la ragazza delle Alpi». L'anime – come vengono chiamati i cartoni animati in Giappone – si contrappone all'economia giapponese in forte crescita e al suo aspetto industrializzato.

La serie costituita da 52 episodi è stata ideata da quattro ragazzi, due dei quali – Hayao Miyazaki e Isao Takahata – hanno fondano in seguito il famoso Studio Ghibli. Il successo mondiale della serie giapponese, che ripete quello del libro di Johanna Spyri, fa di Heidi un fenomeno globale, che ritorna in Svizzera grazie al piccolo schermo.

«Heidi in Giappone» si concentra sulla commistione di due culture e sulla genesi della serie di cartoni animati giapponese che ha avuto un ruolo chiave nella diffusione del genere anime di successo. La mostra è il frutto della collaborazione con l'Università di Zurigo e un team di esperti giapponesi guidato dai professori Aki Nishioka e Takashi Kawashima.