Il fumetto raccontato attraverso i prismi dell'analisi geopolitica internazionale.
Una lettura perfetta per poter analizzare criticamente la serie del momento The Boys.

 

 

Dopo il grande successo di pubblico e critica nei primi mesi dalla sua prima pubblicazione, questo saggio continua a destare l'interesse della stampa per la sua attenta analisi dei rapporti tra fumetto e politica.

I comics sono infatti stati storicamente utilizzati come strumenti di propaganda sia da parte dei Governi che dei movimenti di opposizione, contribuendo all'affermazione della "ideologia" dominante. All'esterno, poi, i fumetti possono veicolare valori e immagini del Paese di origine rappresentando, quindi, una forma di soft power al pari della cinematografia hollywoodiana.

Come già l'omonima serie a fumetti di Garth Ennis, la fortunata serie The Boys prodotta da Amazon, il cui secondo ciclo sta ora imperversando sugli schermi, illustra la degenerazione tardo-capitalistica dei supereroi, ridotti a mero brand commerciale da sfruttare ad ogni costo.

Come illustra Andrea Silvestri nel saggio, in questa serie i villains sono figure posticce, funzionali alla narrativa dominante che vuole i buoni pronti a salvare dai cattivi l'umanità (anzi, gli americani, "prima"). I veri bad guys sono proprio i "buoni", creature create in laboratorio da una cinica corporation con radici naziste e suprematiste, e da cui le istituzioni democratiche non riescono a difendersi.

Un universo grottesco e dissacrante, popolato da personaggi decadenti in salsa pulp – vedi il pervertito egocentrismo di Homelander ("Patriota" nella traduzione italiana) – che declina in chiave economica e di comunicazione gli esiti estremi del potenziale negativo e antidemocratico dei supereroi a stelle e strisce.

Elementi che in Fumetti e potere vengono esplorati con dovizia di dettagli e profondità di analisi.