FRANCO BATTIATO
Centro di gravità permanente
Con testi inediti di Franco Battiato,
Francesco Bianconi e Viola Di Grado

illustrazione di copertina di Grazia La Padula
pp. 120, 6 euro, in edicola dal 7 ottobre

Lo ricordo magro, che suonava il violino, accompagnava Alfredo Cohen in una performance ai giardini pubblici di Cagliari. Fu allora che ci parlai per la prima volta. Era ancora giovanissimo, io lo seguivo perché i suoi primi dischi – Fetus, Pollution e Clic, degli album importanti in cui si aprivano le frontiere del fare musica – li avevo ascoltati incessantemente in quei primi anni Settanta. Complice Fiorella Gentile e i suoi compari della trasmissione radiofonica Popoff, che diffondeva il verbo del rock e della controcultura dalle frequenze della RAI, secondo programma, come si diceva allora. Lui appariva già come un solitario, uno che va per la sua strada e non si cura delle mode. Nei suoi dischi, tra i testi di tipo dadaista, comparivano già le prime domande esistenziali ("Dentro di me vivono la mia identica vita dei microrganismi che non sanno di appartenere al mio corpo... Io a quale corpo appartengo?"). 
E quel narrare di cose intime e lontane nello spazio e nel tempo che sarebbe diventato un "lessico famigliare" per milioni di italiani e non. Poi, quando uscì L'era del Cinghiale Bianco, fu uno shock, perché il suo non rispetto dei canoni aveva segnato un altro passo fondamentale. Era il 1979, e quell'album orecchiabile seguiva un long playing minimalista, quasi astratto, L'Egitto prima delle sabbie
Ora, in piena epoca post punk, Battiato chiedeva di battere il piede a ritmo di musica. Non solo, ma le chitarre di Alberto Radius (collaboratore stretto di Lucio Battisti) portavano un'aria pop che era, ai tempi, impensabile, quasi blasfema. D'altra parte i testi erano diretti verso esotismo, esoterismo, ricordi lirici e aperture inspiegabili e mostravano chiaramente che qualcosa stava accadendo. 
Era la rivoluzione in musica. E me ne accorsi solo ascoltando L'era del Cinghiale Bianco dal jukebox di una pizzeria a Bologna, una sera d'estate. Tra le canzoni di Bennato, Dalla o Battisti la divisione ritmica di quel violino in semicrome suonava come qualcosa venuto da un altro mondo. E poi la voce che cantava di "Studenti di Damasco vestiti tutti uguali. L'ombra della mia identità mentre sedevo al cinema oppure in un bar". Accadde tutto così, in modo quasi naturale. Franco Battiato affermò, senza che quasi ce ne accorgessimo, un nuovo modo di pensare e di concepire la musica, anzi, al pari dei grandi teorici internazionali, metteva in discussione la figura stessa del musicista, della rockstar, con il carisma e l'autorevolezza che poi tutti gli avrebbero riconosciuto. 
La sua influenza, il suo modo di pensare, di fraseggiare scese dal palco e divenne vita quotidiana, privilegio che tocca in sorte a pochissimi grandi. Il suo "centro di gravità permanente", il suo "come vola bassa la mia mente" divennero modi di dire, motti. 
Da allora sono passati decenni e Battiato è diventato sinonimo di una proposta artistica e umanistica importante che ha esplorato il tempo (pescando da melodie antiche, reinventando arie della musica classica, lieder, cantando canzoni di tutte le epoche) e lo spazio, aprendo a est con influenze che dalla Sicilia si immergono in un melodiare arabo e orientale che pare non avere limiti. Ovviamente, come lui stesso mi ha raccontato più volte, il suo "stare male e porsi domande" è fiorito in una ricerca spirituale che ha unito, con la curiosità di grande uomo che lo ha sempre contraddistinto, tradizioni spirituali che attraversano l'intero pianeta. 
Pensiamo che Battiato sia importante per le rotte complesse, le geometrie che il suo lavoro ha proposto negli anni in questo cammino senza fine verso la consapevolezza. 
Non basta certo un editoriale per contenere l'incontenibile creatività che si è posata in tante discipline espressive, dal cinema alla pittura, passando per la scrittura, all'ideazione di eventi musicali e culturali. Battiato è. 
L'onda d'amore che accompagna il suo operato è apparsa subito evidente, in redazione, quando abbiamo chiesto degli interventi, fumetti, illustrazioni, testimonianze, articoli per raccontare questo genio del nostro tempo, l'adesione è stata più che entusiastica. E non si sapeva più come fare, avremmo dovuto avere il doppio delle pagine. 
Il risultato è un umile omaggio, sentito e condiviso da tutti noi. 
Accompagnato da un testo inedito suo, una conversazione raccolta da Elisabetta Sgarbi ed Eugenio Lio, in cui Battiato si racconta. La conversazione ha un finale folgorante, molto gurdjieffiano, che mostra il perché il nostro si muova con indifferenza tra il premio Karlheinz Stockhausen e la vittoria a Sanremo. 

dall'editoriale di Igort