Se da piccoli, come me, avete sempre sognato di diventare archeologi a causa di Indiana Jones, subendone dunque il fascino, allora non dovete assolutamente perdere questo saggio di Francesco Bellu.

Il volume «L'archeologo sul grande schermo», pubblicato da Edizioni NPE, conduce un'analisi attenta del fenomeno toccando sia la storia del cinema tout court che quella dell'archeologia, passando in rassegna tutte le opere di genere all'interno di un discorso prima cinematografico e poi di rilettura culturale.

Il saggio contiene anche un elenco completo, in ordine cronologico, di tutti i film realizzati sul tema: dal cinema muto dei primi del Novecento fino alle ultimissime uscite. In libreria dal 18 novembre.

In questa intervista a Francesco Bellu, autore ed archeologo, scopriamo di più su questo progetto editoriale.

SDC - L'archeologo sul grande schermo è il tuo nuovo libro. Come nasce l'idea di questo saggio?
Francesco Bellu - Il libro parte dall'evoluzione lavoro svolto nel 2018 come tesi per la Scuola di specializzazione in Beni archeologici a Oristano, dell'Università di Sassari.

Avevo proposto l'idea ad uno dei docenti, il professor Raimondo Zucca, il quale aveva accettato con entusiasmo l'idea di un lavoro di questo genere perché si prefigurava come un qualcosa di "anarchico" ma anche appassionante all'interno un corso di alta formazione archeologica.

Poi un paio di anni dopo ho deciso di rimetterci mano per farne un saggio vero e proprio, complice anche il buco di mesi della pandemia 2020, e ho inviato a Edizioni NPE una bozza per capire se il progetto poteva interessargli.

La mia proposta è piaciuta molto e così adesso, dopo circa tre anni di lavoro belli, complicati ma anche molto stimolanti, si è arrivati al libro.


SDC - Come è strutturato il tuo saggio? Come ti sei documentato per raccontare la figura dell'archeologo?
FB - Il libro è strutturato per blocchi e temi.

Inserire i film seguendo esclusivamente un punto di vista cronologico avrebbe reso la lettura caotica perché temi e generi spesso ricorrono più volte a distanza di tempo.

Così ho optato per sezioni: nella prima parte vado dai film dell'era del muto, poi tocco i film sulle mummie egiziane, il genere avventuroso, gli horror, la fantascienza, le opere d'autore, sino addirittura i film pornografici.

Già neanche l'archeologia ne è esente. Ho lasciato a parte sia Indiana Jones, sia Lara Croft e le archeologhe sul grande schermo perché per loro era necessario uno spazio apposito.

La seconda parte invece è quella in cui apro agli aspetti legati al ruolo del contesto in cui sono ambientate le storie, a come vengono percepiti i reperti nei film e a quelli che sono dei veri e propri identikit sugli archeologi che abbiamo al cinema.

Mi sono documentato sia guardando i film, ovviamente, sia attraverso la lettura di saggi e articoli accademici sul tema e raccogliendo documentazione diretta come articoli su giornali specializzati di cinema, recensioni, interviste, ma anche siti Internet che trattavano argomenti utili per questo lavoro.

Ad esempio fondamentale è stata la pagina dell'AFI, l'American Film Institute, con il suo ricchissimo apparato di schede, bibliografie e rimandi ai giornali che spesso risalivano ai primi del Novecento, quindi utilissimi per il cinema muto.

La quasi totalità della documentazione è tutta in lingua inglese; questo perché sia in USA che in Gran Bretagna c'è sempre stata una maggiore attenzione al tema della rappresentazione dell'archeologia e dell'archeologo nei media e sui suoi effetti verso il pubblico.

SDC - Dalla fantasia cinematografica alla realtà: essendo tu stesso un archeologo, hai potuto appurare qualche aspetto che è in sintonia con i personaggi cinematografici? Pensi che lo spettatore potrebbe rimanere deluso se conoscesse veramente il lavoro di un archeologo?
FB - Buona parte dei film seguono le convenzioni dei generi di cui fanno parte.

Indiana Jones è di fatto un eroe di un film di avventura e presenta tutti gli elementi che ci si aspetterebbe da un'opera di questo tipo: l'esotismo marcato, l'azione, il nemico da sconfiggere, più l'oggetto pregiato da recuperare e salvaguardare.

Non proprio attinente con la realtà di oggi, dove l'archeologo è innanzitutto una professione con un una serie di regole deontologiche ben precise e un iter burocratico complesso per fare uno scavo; senza contare la lunga formazione in università.

Insomma, non ci si imbarca per il primo volo a cercare città d'oro in mezzo alla giungla messicana seguendo la mappa trovata nella cantina di nonna.

È ovvio che, viste queste premesse, il vero lavoro dell'archeologo sia poco filmabile dal punto vista cinematografico; giusto in televisione si è riusciti a fare qualcosa di vicino, basti pensare un programma pionieristico come "Chronicle" della BBC o "Time Team" di Chanel 4 e 'Why We Dig" su Netflix.

Al cinema uno degli esempi migliori rimane il primo capitolo di "Smetto quando voglio" di Sidney Sibilia con il personaggio di Arturo Frantini interpretato da Paolo Calabresi, in cui viene ricostruita alla perfezione una giornata di un archeologo nel centro urbano di Roma.

SDC - L'associazione tra archeologia e cinematografia mi fa affiorare subito la figura di Indiana Jones, come sottolinea la copertina del tuo libro. Quanto questo film ha contribuito a rendere l'immagine dell'archeologo una sorta di "supereroe"?
FB - Sì diciamo che la fortuna dei film ha di fatto ridefinito la visione stessa dell'archeologo e la percezione dell'archeologia tout court da parte del pubblico, tanto da far sì che il termine Indiana Jones sia diventato sinonimo stesso di archeologo nel linguaggio corrente.

Con tutti gli equivoci e le ambiguità che questo comporta nel relegare questa professione al mero atto di raccogliere oggetti antichi, se rari ancora meglio, e allo stesso tempo nel proporre una figura eroica irresistibile da emulare e al quale voler assomigliare soprattutto quando si è adolescenti.

SDC - A proposito di Indiana Jones, nel 2023 uscirà il capitolo numero 5 della saga. Cosa ti aspetti di vedere?
FB - A essere sincero non lo so, dopo le ultime notizie in cui parla di proiezioni test andate in modo disastroso, francamente ho seriamente paura che possano aver fatto un pasticcio.

Speriamo siano solo speculazioni giornalistiche.

SDC - Non solo Indiana Jones: mi viene in mente anche il film "La mummia", un'altra saga dedicata agli scavi, arrivata al terzo capitolo. Pensi che un giorno si possa di nuovo metter mano a questo progetto?
FB - Uhm chi lo sa.

Dopo l'ultima "Mummia" con Tom Cruise che non è andata particolarmente bene forse ci vorrà un po' di tempo prima che rimettano mano a storie di questo genere.

Poi non sono nella mente dei produttori della Universal, quindi questa è solo una mia opinabilissima sensazione che potrebbe essere smentita anche domani.

SDC - Quale altra pellicola significativa prendi in esame nel tuo libro?
FB - Oh sarebbero tante in realtà.

Vorrei però citare uno titolo noto veramente a pochissimi: Al-Mummia del 1969, film egiziano di Shadi Abd al-Salam. Praticamente introvabile sino a qualche anno fa e restaurato di recente dalla Cineteca di Bologna grazie ai fondi del Word Cinema Foundation di Martin Scorsese.

È incentrato sulla storia del clan Horrabat, attivo a metà del Diciannovesimo secolo nel saccheggio indisturbato di un nascondiglio pieno di mummie con i loro corredi. Quando il capo famiglia muore, i due figli si rifiutano di portare avanti l'attività dando inizio a una serie di conseguenze drammatiche per la famiglia.

L'aspetto più notevole è come il film riconosca il ruolo legittimo degli archeologi nei confronti dello Stato e del governo e distingua in maniera netta la differenza tra archeologia vera e propria e la caccia al reperto per lucro.

Emerge come l'attività di scavo debba essere compiuta esclusivamente attraverso metodi legali, con una ricerca programmata e attenta, perché questa è l'unica via che permetterà in un futuro prossimo di tutelare la storia culturale di un Egitto che, dalla seconda metà dell'Ottocento, inizia a prendere coscienza di come l'epoca faraonica faccia parte integrante della propria identità culturale.

SDC - Qual è secondo te la scoperta archeologica più clamorosa della storia? E quella che secondo te, ancora stanno ricercando?
FB - Da archeologo, tutte le scoperte sono importanti.

L'archeologia non è mai una gara, ma un'attività che permette di ricostruire il passato attraverso i materiali e i contesti a cui questi materiali sono legati.

La sfida dell'archeologia anzi è proprio far capire questo aspetto ad un pubblico che pensa che il mestiere dell'archeologo sia invece una caccia al tesoro.

Poi certo è innegabile che molte scoperte del passato abbiano un fascino romanzesco.

Vedi la scoperta della tomba di Tutankhamon di cui si è appena festeggiato il centenario, Machu Picchu di Hiram Bingham o le tombe reali di Ur scavate da Wooley. Ma sono tali proprio perché è la narrazione che si è costruita intorno a loro a renderle tali, indipendentemente poi dal fatto che abbiano comunque un valore storico oggettivamente importantissimo.

SDC - Qual è il tuo film preferito al riguardo? O a quale personaggio sei più legato?
FB - Non so se sia il mio preferito, di sicuro quello che ho trovato più suggestivo è "Civiltà perduta" di James Gray che ricostruisce la vicenda reale di Percy Fawcett, militare e archeologo che agli inizi del Novecento compì una serie di viaggi in Amazzonia convinto dell'esistenza di una città perduta in mezzo alla foresta.

Ma scomparirà misteriosamente insieme al figlio, appena ventenne e tutt'ora nessuno sa quale sia stato il loro destino, né in che circostanze possano essere morti.

Il film, a mio avviso, segna il culmine di una ricerca meno banale sull'essere archeologi e sull'archeologia al cinema perché mai prima d'ora era riuscito a caratterizzare in maniera così profonda la figura di un archeologo, trascendendola nell'atto stesso della scoperta prima ancora che questa accada.

E non è detto, ed è il caso di questa pellicola, che ciò avvenga.

In "Civiltà perduta" l'appagamento e l'impegno vengono, infatti, costantemente frustrati.

La paura del fallimento corrode e allo stesso modo alimenta in Fawcett la sua brama di sapere. Insomma non è un eroe, è un uomo imperfetto.

E mi piace, perché è questo che siamo anche noi: uomini e donne imperfetti.

SDC - Stai lavorando a qualche altro progetto (editoriale o professionale) del quale vorresti anticiparci qualcosa?
FB - Ho un paio di idee su cui sto lavorando ma ancora non mi sbilancio troppo.


L'autore
Francesco Bellu - Archeologo prestato al giornalismo e viceversa, ha sempre lavorato in bilico tra film, serie tv e fumetti passando dai cantieri di scavo ai giornali, dopo una laurea in Conservazione dei Beni Culturali, un master in Giornalismo e la specializzazione in Beni archeologici all'Università di Sassari.

Giornalista professionista, attualmente è docente di Comunicazione dei Beni Culturali nella medesima università. Ha scritto per vari quotidiani e testate web occupandosi di archeologia e cinema, in particolare su «Movieplayer», «La Nuova Sardegna» e «Sardinia Post».

Titolo: L'archeologo sul grande schermo
Collana: Narrativa
Numero in Collana: 38
ISBN: 9788836270958
Autore: Francesco Bellu
Formato: volume 14,8x21 cm, brossura con alette b/n, pg.264
Prezzo: 16,90 euro
Editore: Edizioni NPE
Data di uscita in libreria di varia e fumetteria: 18 novembre 2022



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