1980 Una lunga estate italiana. La musica che ha cambiato il consumo della politica Ã¨ il nuovo libro del professore Alessandro Volpi dell'Università di Pisa  (Pisa University Press, 2022).

Il libro esplora gli anni in cui i partiti italiani cercavano di svecchiarsi per avvicinarsi ai giovani, attraverso la musica. Musica che in quel periodo talvolta, in Italia, era addirittura censurata. I partiti si trasformarono in organizzatori di eventi, coinvolgendo grandi artisti, anche internazionali, per ravvivare le file dei loro partiti e sintonizzarsi con i giovani che, in realtà, avevano altre posizioni ed idee.

Cambiamenti e rivoluzioni che hanno plasmato musica e politica nel 1980. Ci riuscirono?

In questa intervista il professor Alessandro Volpi ci racconta di più su suo libro.
 

titolo1980 Una lunga estate italiana
sottotitolo La musica che ha cambiato il consumo della politica
Autore Alessandro Volpi
Argomenti Scienze politiche e sociali Saggi e studi
Scienze politiche e sociali
Editore Pisa University Press
Formato Libro: 15X21
Pagine 226
Pubblicazione 02/2022
ISBN 9788833396422


SDC - 1980 Una lunga estate italiana. La musica che ha cambiato il consumo della politica è il tuo libro dedicato al rapporto tra musica e politica. Come nasce questo progetto?
Alessandro Volpi - In passato mi sono occupato del rapporto tra musica e politica negli anni cinquanta e negli anni Settanta. In entrambi i casi era evidente la censura che i grandi partiti esercitavano nei confronti dei fenomeni musicali sia nazionali sia internazionali; queste chiusure ostacolarono l'arrivo in Italia di grandi star del rock e del pop, favorirono il fenomeno delle cover, della traduzione in italiano di pezzi stranieri e determinarono la promozione soltanto di quegli artisti che erano "fedeli alla linea politica".

Questo clima negli anni Settanta era reso ancora più cupo dalla volontà di una parte del movimento giovanile di entrare ai concerti senza pagare, provocando incidenti che finirono per allontanare i grandi nomi dal nostro paese.

Il 1980 fu l'anno della volta; i giovani cominciarono a dimostrare di non accettare più il pregiudizio ideologico nel consumo della musica e questo avviò una "liberazione" che permise proprio in quell'anno una sequenza straordinaria di concerti e convinse i partiti della necessità di abbandonare le già ricordate chiusure spingendosi persino ad "adottare" la musica pop-rock e i cantautori.

Il libro nasce dalla volontà di far emergere questa linea di demarcazione.
 

SDC - In che modo la musica cambiò la politica?
Alessandro Volpi - La musica riuscì a costringere il linguaggio politico ad accettare una dimensione commerciale in grado di coinvolgere soprattutto il pubblico giovanile rispetto a temi che i caratteri della tradizionale militanza non erano più in grado di sollevare.

Solo rivolgendosi a pubblici più estesi era possibile per la politica provare a non restare afona e la musica di largo consumo pareva essere lo strumento più efficace in tal senso. 

SDC - La politica invece cambiò la musica in passato? O ad oggi?
Alessandro Volpi - Come accennato, la politica condizionò la musica nel corso degli anni Cinquanta, Sessanta e ancora degli anni Settanta, sfruttando la propria forza; i partiti intendevano "pedagogizzare" i propri militanti anche sul versante dei gusti culturali e dunque selezionavano le "playlist" per alimentare il senso di appartenenza.


Ma si trattava di un meccanismo che entrò in crisi a partire dal 1980 quando, ormai, la forza dei partiti si era decisamente ridotta.

Oggi, a mio giudizio, la politica dei partiti non ha alcuna capacità di incidere sulla musica, che manifesta un linguaggio politico in senso molto generale, come interpretazione narrativa della realtà, senza troppe attenzioni all'appartenenza. 
 

SDC - Quali sono gli autori che secondo te hanno beneficiato di questo cambiamento? O quelli che, loro malgrado, si sono ritrovati ad essere delle "bandiere politiche"?
Alessandro Volpi - Direi i cantautori, o almeno alcuni di loro, a cominciare da Francesco De Gregori che divenne un vero e proprio simbolo politico, senza in realtà aspirare ad esserlo.

De Gregori affrontò negli anni Settanta una fase difficile nel rapporto con la politica; fu oggetto di dure critiche dall'estrema sinistra tanto da essere indotto a prendersi una lunga pausa.

Ma proprio dal 1980, dopo il tour dell'anno precedente con Dalla, assunse un ruolo centrale nel tentativo operato in primis dal Partito comunista di recuperare i consensi giovanili; una centralità tanto rilevante da consentire a De Gregori di avere una pressoché totale autonomia.

SDC - Negli anni '80 dunque i maggiori partiti politici italiani hanno iniziato a sponsorizzare e a organizzare concerti, un modo per attirare i giovani. Ha funzionato?
Alessandro Volpi - L'attenzione espressa dai partiti nei confronti della musica funzionò solo in parte perché esisteva una distanza troppo evidente fra le classi dirigenti di quei partiti e il messaggio musicale espresso dai cantautori e, ancor di più, dalla musica internazionale.

 Il tentativo di utilizzare i nuovi linguaggi musicali non si accompagnò infatti ad un vero rinnovamento dei gruppi dirigenti ancora legati a modelli culturali del passato.

SDC - Cos'erano le "liste di proscrizione"?
Alessandro Volpi - Le liste di proscrizione era gli elenchi di pezzi che non avrebbero dovuto essere trasmessi alla radio e in televisione o che non dovevano trovare spazio alle feste di partito; liste che, di fatto, sparirono a partire dal 1980.
 

 
SDC - Quali sono i grandi concerti memorabili di cui possiamo trovare traccia nel libro? E perchè sono così importanti?
Alessandro Volpi - Nel 1980 ci furono numerosi concerti, dai Police, ai Clash, a Lou Reed, a Bob Marley, alle grandi tournée degli italiani, De Gregori, Venditti, Branduardi, Bennato, Fortis, Rossi e tanti altri.

Certo, particolarmente suggestive furono le esibizioni di Marley a Torino e a Milano, dove per la prima volta venne concesso lo Stadio di San Siro per un concerto, e quella dei Clash, in Piazza Maggiore a Bologna, dove erano stati chiamati dall'amministrazione comunista di Renato Zangheri e dove subirono, proprio per questo, una dura contestazione.

SDC - A quale concerto sei stato o a quale ti sarebbe piaciuto partecipare?
Alessandro Volpi - Mi sarebbe piaciuto partecipare al  concerto dei Talking Heads a Roma, poco giorni prima del Natale 1980, con una formazione formidabile e con una musicalità costruita sul funky e sul soul.

SDC - All'interno del volume ci sono anche immagini e fotografie dei biglietti dei concerti. Qual è quello che più ti ha colpito?
Alessandro Volpi - C'è una foto, secondo me straordinaria, in cui compare Neil Young appena sbarcato in Italia per il concerto che avrebbe tenuto alla festa nazionale dell'Amicizia organizzata a Viareggio dalla Democrazia Cristiana.

Ad accoglierlo compare un andreottiano di ferro come Franco Evangelisti, che certamente non sapeva neppure chi fosse quell'artista ma che doveva portare sul palco nella speranza di "ringiovanire" l'immagine del primo partito del paese

SDC - Quanto la musica, ad oggi, può ancora fare? Quale grande rivoluzione o cambiamento potrebbe supportare?
Alessandro Volpi - La musica, per la sua capacità di narrazione popolare, contiene ed esprime sempre una grande carica di trasformazione che spesso manifesta anche in forme non necessariamente ideologiche, mettendo in circolo idee, sensazioni, impressioni e passioni destinate poi a tradursi in linguaggio politico.

SDC - Qual è il più grande evento, band o artista, che ti viene in mente pensando alla musica e a ciò che ha saputo cambiare?
Alessandro Volpi - Nella mia personalissima "classifica" di grandi innovatori "politici" metterei al primo posto Jimi Hendrix per la straordinaria capacità di cambiare il senso del suo tempo e poi il grande romanzo di Dylan e la fulminante preveggenza di Janis Joplin.
 
 

Alessandro Volpi - insegna Storia Contemporanea presso il Dipartimento di Scienze politiche dell'Università di Pisa. Si è occupato di storia dell'economia e della cultura nell'Ottocento e nel Novecento, pubblicando numerosi volumi dedicati alle diverse forme assunte dal mercato, con particolare riguardo all'editoria. Più di recente, alcuni suoi lavori hanno preso in esame i rapporti fra musica e politica nel contesto italiano.