"I Disconosciuti" è la graphic novel realizzata da Francesco Della Puppa, Alessandro Lise, Francesco Matteuzzi, Francesco Saresin e Giulia Storat, pubblicata da BeccoGiallo Editore

In questo fumetto si esplorano le difficili realtà di coloro che sono ai margini del sistema di accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo in Italia. 

"I Disconociuti" affronta interrogativi cruciali: dove vivono i rifugiati? E come lavorano i richiedenti asilo? 

In questa intervista a Francesco Della Puppa, scopriamo di più su questo volume e sulle storie "invisibili" delle persone coinvolte.

 
 
 
 
 
SDC - "I disconosciuti" è il titolo della graphic novel edita da BeccoGiallo Editore, alla quale hai dato vita insieme al lavoro di Alessandro Lise, Francesco Matteuzzi, Francesco Saresin e Giulia Storato. Come nasce l'idea di questo progetto?
Francesco Della Puppa - Ero reduce dalla collaborazione con Francesco Matteuzzi e Francesco Saresin, relativa al precedente nostro lavoro La linea dell'orizzonte. Un etno-graphic novel sulla migrazione tra Bangladesh, Italia e Londra, che conoscete, ha raccontato una mia ricerca sociologica ed etnografica e che ha visto me e Matteuzzi nelle vesti di sceneggiatori e Saresin in quelle di disegnatore. 

L'esperienza è stata proficua e appassionante, oltre ad aver centrato l'obiettivo – o almeno uno tra gli obiettivi – che mi ero proposto di raggiungere – ossia raggiungere, con una ricerca scientifica un pubblico più ampio rispetto a quello accademico e degli "specialisti". 

Ecco, quindi, che alla fine di un'ulteriore ricerca sociologica, coordinata da me e condotta da due ricercatrici (Giuliana Sanò e Giulia Storato) che si sono avvicendate, adottando, anche in questo caso, strumenti etnografici, è venuto spontaneo pensare di restituirla, ancora una volta, utilizzando il linguaggio del fumetto.

I disconosciuti. Vivere e sopravvivere al di fuori del sistema di accoglienza, quindi, restituisce uno studio sugli immigrati rifugiati e richiedenti asilo al di fuori del sistema di accoglienza istituzionale, svolto in una città del nordest, che nel fumetto non viene nominata, perchè si tratta di un fenomeno che assume caratteristiche idealtipiche di qualsiasi piccola città dell'Italia settentrionale, ma che chi la conosce riconoscerà facilmente: Trento. 

Più nello specifico, il libro racconta le traiettorie biografiche, migratorie, sociali, abitative e lavorative di tre di questi immigrati che, appunto, vivono e sopravvivono al di fuori del sistema di accoglienza italiano, ma anche quelle della ricercatrice che si muove sul campo, per comprendere le loro condizioni di esistenza e le loro strategie di sopravvivenza, Anna, con le sue vicende personali, le sue incertezze e i bivi che dovrà affrontare nella ricerca e nella vita. 

Ma c'è un quinto protagonista del libro, ossia il contesto urbano entro cui i fili biografici dei quattro personaggi poc'anzi citati si intrecciano. La città dove vivono "i disconosciuti" da noi raccontati e in cui si trasferisce temporaneamente Anna, con i suoi ritmi, i suoi spazi, i suoi tempi e le sue idiosincrasie, infatti, emerge come un vero e proprio personaggio dalle pagine disegnate da Saresin.


SDC - Chi sono i "disconosciuti"?
Francesco Della Puppa -  I disconosciuti sono richiedenti protezione internazionale che, per diverse ragioni, sono al di fuori del sistema di accoglienza. 

Si tratta di un'enorme contingente di persone che si ritrova "oltre le soglie" dell'accoglienza per ragioni diverse e come esito di traiettorie eterogenee: c'è chi si è visto riconoscere la protezione internazionale e, quindi, deve lasciare il Centro di Accoglienza Straordinaria (Cas) nel quale, il più delle volte, è stato "accolto" (o detenuto); c'è chi, al contrario, ha ricevuto un provvedimento di diniego della domanda di protezione e ha "perso" anche i successivi ricorsi e, dunque, similmente, deve uscire dal progetto di accoglienza; c'è chi è stato espulso dalla struttura nella quale è stato inserito per motivi disciplinari; c'è, infine, chi in accoglienza non è mai entrato perchè arrivato in Italia a piedi – ad esempio attraverso la cosiddetta "Rotta balcanica" – o altri canali che non hanno previsto il suo inserimento nelle "quote" ministeriali e la sua collocazione in un Cas. 

Pur provenendo da percorsi ed esperienze dissimili, spesso, queste "tipologie" di emigranti e immigrati condividono le medesime condizioni materiali e adottano le medesime strategie di sopravvivenza per far fronte alle loro necessità e ai loro bisogni. 

Vivono per strada, trovando riparo sotto un ponte, in case abbandonate, in insediamenti informali ai margini della città o a ridosso delle aree rurali, a causa dell'impossibilità di trovare un alloggio per le discriminazioni che colpiscono gli immigrati nel mercato immobiliare e nell'edilizia "popolare"; vivono impiegando la pressochè totalità della propria giornata per spostarsi di continuo da un capo all'altro della territorio urbano, per accedere ai diversi servizi a bassa soglia, dai quali si dipende per lavarsi, caricare il cellulare, dormire per il numero di notti consentito, trovare un pasto caldo; vivono nel pendolarismo stagionale dal nord del Paese – dove si riesce a sopravvivere appoggiandosi ai servizi, appunto – al sud, dove, attraverso le reti sociali, si riesce a trovare un inserimento lavorativo nell'agricoltura poco industrializzata del mezzogiorno, che, per quanto sfruttato, consenta di inviare qualche risorsa alla famiglia di origine per ripagare il debito, contratto per l'emigrazione; vivono attraversando saltuariamente anche i confini nazionali, per cercare fortuna nei Paesi dell'Europa centro-settentrionale, confidando, ancora una volta, sulle proprie reti di contatti e conoscenze; vivono alla mercè di imprenditori senza scrupoli, pronti a sfruttare il lavoro a basso costo nell'industria della carne, nello smaltimento dei rifiuti, nella raccolta della frutta, nei cantieri dell'edilizia, nelle catene del subbappalto della logistica, della cantieristica navale, del terziario a bassa qualifica. 

Soprattutto, vivono vite modellate dal razzismo di stato che pone gli immigrati – tutti gli immigrati, ma soprattutto ai richiedenti asilo e ai rifugiati – su un piano di subalternità sociale e materiale.

SDC - Vite invisibili di persone che in modo altrettanto invisibilmente ci circondano. Come accolgono gli italiani?
Francesco Della Puppa - Quando parliamo di "italiani" bisogna fare delle distinzioni: esiste lo stato italiano e la popolazione italiana e anche entro la popolazione italiana vi sono diverse classi sociali e diversi orientamenti.

Lo stato italiano non è certo molto "accogliente". 

Questo appare chiaro se osserviamo le politiche di stato che negli ultimi trent'anni almeno sono state elaborate e adottate in termini di immigrazione e asilo. 

La ricostruzione delle fasi e dei tasselli che hanno portato alla costruzione di quello che è oggettivamente definibile un sistema giuridico inferiorizzante, che colpisce gli immigrati richiedenti asilo e rifugiati, richiederebbe molto spazio e un lungo percorso a ritroso

Qua, mi limiterò a ricordare la firma, da parte del governo di un governo italiano di "centro-destra", del "trattato di amicizia" con la Libia, nel 2008, e dei conseguenti accordi bilaterali con cui l'Italia si impegnava a formare la guardia costiera libica e a fornire risorse per la costruzione di centri di detenzione, impedendo agli emigranti di accedere al diritto di asilo. A dare continuità a tale provvedimento, arrivano, nel 2017, i Decreti promossi e firmati dai ministri di un governo di "centro-sinistra", Minniti e Orlando che, rinnovando e aumentando i finanziamenti alle "autorità" libiche, hanno reso più facili i respingimenti in mare, diretti e "per procura".

Viene, poi, il primo "Decreto sicurezza", firmato dal ministro Salvini, esponente di un governo a guida Lega Nord e Movimento Cinque Stelle, che sancirà, tra le altre cose, la cancellazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari (privando, così, migliaia di richiedenti di un documento di soggiorno e contribuirà alla creazione di un esercito di lavoratori ancora più vulnerabili e ricattabili di fronte allo sfruttamento da parte di imprenditori senza scrupoli e reti criminali) e l'esclusione dai programmi SPRAR (l'unico modello di accoglienza che garantiva minimi risultati di inclusione sociale, prevedendo l'inserimento dei richiedenti protezione internazionale in piccole strutture, integrate entro il tessuto socio-territoriale locale, corsi di formazione e percorsi di inserimento professionale) ai richiedenti asilo.


Seguirà il "Decreto Sicurezza bis" che criminalizzerà il soccorso in mare e le ONG con l'applicazione di una sanzione amministrativa da 10.000 a 50.000 euro e la possibile confisca della nave. Così facendo, il prezzo della traversata e il rischio per la vita di chi la affronta salgono in misura vertiginosa.

 


Sono state ormai documentate, infatti, le violenze che gli emigranti subiscono nei centri di detenzione libici – finanziati dall'Italia, è sempre bene ricordarlo –, durante il loro tentativo di raggiungere l'europa attraverso la "Rotta mediterranea": gli uomini sono ripetutamente torturati, le donne ripetutamente stuprate. 

Le violenze sessuali sulle donne emigranti costituisce, infatti, una pratica sistematica e pianificata, così come sistematica e pianificata sarebbe la somministrazione di farmaci con finalità anticoncezionali – e abortive –, al fine di ridurre le gravidanze, frutto degli stupri. 

Analogamente, sono state ben documentate anche le violenze e i "push back" illegali che le polizie di frontiera europee – ivi compresa quella italiana –, esercitano sugli emigranti che tentano di arrivare in Europa attraverso la cosiddetta "Rotta balcanica", ancora una volta, impedendo loro di accedere al diritto di asilo. 

Minacciati con armi da fuoco, umiliati, picchiati con spranghe, fatti azzannare da cani, denudati e fatti ritornare a piedi, per decine di chilometri nella neve, così le polizie croate, slovene e italiane, respingono illegalmente gli emigranti sino ai confini esterni dell'area Schengen, in Bosnia, costringendoli a tentare e ritentare – una, due, tre, dieci volte... – "the game", ancora una volta, allungando i tempi e aumentando i rischi e i costi della traversata. Ecco, questa è l'accoglienza dello stato italiano.

Se osserviamo, invece, come accoglie la popolazione italiana la realtà è, spesso, diversa. Certamente ci sono coloro, anche fra le classi "popolari", che esprimono ostilità nei confronti degli immigrati, allineandosi alla propaganda razzista di stato – d'altra parte, decenni di martellamento mediatico e retoriche anti-immigrazione, promosse pubblicamente dagli imprenditori politico-sociali, hanno ottenuto il risultato perseguito, normalizzando il razzismo e instillando l'ideologia razzista anche nei cuori e nelle menti di coloro avrebbero tutto da guadagnare nell'affratellarsi con gli immigrati e le immigrate. 

Ci sono, però, anche realtà collettive, associazioni, gruppi di persone che, spesso anche entrando in conflitto con le istituzioni, praticano una vera accoglienza e offrono una piena solidarietà agli emigranti e agli immigrati, dal basso. 

Di alcune di queste realtà ne parliamo nell'appendice del nostro libro a fumetti e mi fa piacere ricordarle, assieme ad altre: la Onlus One Bridge To, di Verona, l'Associazione Linea d'Ombra, di Trieste, l'Associazione Baobab Experience, di Roma, l'Associazione Lungo la Rotta Balcanica, di Venezia, il Collettivo Rotte Balcaniche, ma non possiamo dimenticare l'esperienza che ha visto in prima linea anche un'autonomia locale virtuosa, ossia il modello di vera accoglienza costruito da Mimmo Lucano, a Riace.


SDC - Quanto una politica comune europea può migliorare la vita di queste persone?
Francesco Della Puppa -  In un certo senso, c'è già una politica comune europea ed è una politica di esternalizzazione delle frontiere al di fuori dell'Europa – si pensino agli accordi che l'Unione europea e i singoli membri hanno stretto con alcuni paesi al di fuori dell'Europa (Turchia, Albania, Tunisia, Libia, etc.) per imprigionare, deportare e torturare gli emigranti, rendendo più difficile (e spesso fatale) il loro viaggio migratorio –, di chiusura all'immigrazione e di inferiorizzazione degli immigrati.

Da un lato, l'Italia, ormai oltre trent'anni fa, con la così detta "Legge Bossi-Fini" (la cui struttura legislativa era stata ereditata dalla precedente "Turco-Napolitano"), è stata presa a modello dal resto dell'Europa, in ambito di politiche migratorie, legando la regolarità del soggiorno al contratto di lavoro, ponendo i lavoratori – e le lavoratrici – immigrati alla mercè delle imprese e degli imprenditori, rendendo più facile perdere la regolarità del soggiorno, rendendo più difficile i ricongiungimenti familiari, criminalizzando l'immigrazione "irregolare" (o, per meglio dire, irregolarizzata) e, in seconda battuta, l'immigrazione tutta. Dall'altro lato, l'Italia, anche per la sua posizione geografica, subisce le pressioni europee affinchè irrigidisca ulteriormente le prassi in termini di ingressi e renda l'immigrazione in Europa più difficoltosa, costosa, rischiosa.


Sembrerebbe, quindi, che l'Europa (come l'Italia) voglia chiudere le porte all'immigrazione, ma non è così. Le economie, le società e la demografia europee, infatti, hanno vitale bisogno di forza-lavoro a basso costo e alta flessibilità: braccia, cuori e cervelli da mettere al lavoro, ma senza diritti, per usufruire di un contributo produttivo a costi quasi nulli e per ricattare il mondo del lavoro nella sua interezza. 

Allora perchè le retoriche ideologiche contro gli immigrati e le politiche anti-immigrati? Perchè in questo modo quegli immigrati e quelle immigrate che riescono sopravvivere al viaggio e alle forche caudine delle politiche restrittive e del razzismo istituzionale (e – ahinoi! – anche popolare) saranno docili e disponibili a tutto, nel mercato del lavoro nazionale. 

Un viaggio emigratorio più costoso e più pericoloso e le violenze subite lungo la rotta, sommati agli anni di attesa nei Cas, nei Cie, nei Cpr, nei Cara, negli hotspot e nelle molteplici strutture di reclusione per rifugiati, richiedenti asilo e immigrati privi di permesso di soggiorno – in cui, non di rado, sono state commesse sistematiche violazioni dei "diritti umani" –, infatti, fungono da scuola di disciplinamento e palestra di sottomissione per gli emigranti che, quindi, una volta giunti in Europa e in Italia, saranno disposti ad accettare anche le più miserrime condizioni lavorative, sociali, esistenziali, per soddisfare, in primis, le necessità del mercato del lavoro nazionale. 

Sono questi gli effetti delle politiche progressivamente più restrittive e presentate come misure volte a ridurre l'immigrazione, ma che, nei fatti, riducono, invece, i diritti degli immigrati, aumentano il numero dei morti in mare o lungo le rotte via terra e, spesso, minano la salute psichica – oltre che fisica – degli emigranti che, invece che essere presi in carico e aiutati dai servizi della società di destinazione, ne subiscono la marginalizzazione e, talvolta, le attenzioni tutt'altro che pacifiche delle forze dell'ordine.

SDC - Le politiche di accoglienza sono adeguate ai tempi che stiamo vivendo? Si può migliorare in qualcosa?
Francesco Della Puppa -  Le politiche dell'accoglienza, come qualsiasi politica, può essere osservata da due prospettive: dalla prospettiva delle imprese e dello stato oppure dalla prospettiva di chi vive del proprio lavoro. 

Se le osserviamo dalla prima prospettiva, le politiche di accoglienza attuali potrebbero essere adeguate e, non a caso, in linea con le tendenze globali, a partire da ciò che si profila all'orizzonte negli Stati Uniti, dove è iniziata una vera e propria caccia agli immigrati. In un momento storico di profonda crisi del modo di produzione e del sistema socio-economico capitalistico, in cui le contraddizioni sociali sono ormai profondissime e irreversibili, in cui il meccanismo di accumulazione è pressochè statico, mentre si fa strada uno scontro economico, commerciale, ma sempre di più anche militare tra le nazioni ex egemoni, ormai in completo declino (gli Stati Uniti e, in seconda battuta, i paesi europei), e le nazioni in ascesa (in primis la Cina, seguita dalla Russia e dai cosiddetti "Brics"), tali politiche rispondono alle necessità di "fascistizzazione" delle società, in termini socio-politici, e di svalorizzazione della forza lavoro, a vantaggio delle imprese e dei grossi gruppi economici, dell'accumulazione capitalistica, in termini economici.

Se, invece, osserviamo tali politiche dalla prospettiva degli interessi delle classi che vivono del proprio lavoro, tali politiche non costituiscono solo un attacco ai diritti e alle condizioni di vita degli immigrati, ma sono una leva di ricatto per tutti. 

 

Giacchè, come detto poc'anzi, tali politiche rendono gli immigrati più vulnerabili e ricattabili, costringendoli ad accettare anche le più miserrime condizioni lavorative e sociali, ponendoli in concorrenza con i lavoratori autoctoni (ossia europei e, nel nostro caso, "italiani"). Ne comporta che questi ultimi, se vorranno preservare la propria occupazione, dovranno accettare la concorrenza al ribasso con gli immigrati – ivi compresi i richiedenti asilo e i rifugiati, ossia, appunto, i più vulnerabili e ricattabili – e, progressivamente, adeguarsi alle miserrime condizioni lavorative imposte agli immigrati. 

Dal mio punto di vista, migliorare le politiche di accoglienza richiederebbe, innanzitutto, l'eliminazione del sistema dei visti di ingresso nelle nazioni del nord del mondo o, comunque, un più facile rilascio dei visti a favore dei potenziali immigrati dal "Sud globale", cosicchè essi non siano costretti a spendere migliaia di euro, indebitandosi, e rischiare la vita in lunghi viaggi migratori, ma possano raggiungere i paesi di destinazione con un semplice viaggio aereo. 

Successivamente, andrebbe smantellato l'intero armamentario delle politiche di ingresso e residenza che mettono sotto scacco le popolazioni immigrate e lo stesso sistema di accoglienza con tutto il corollario delle strutture di reclusione per rifugiati e richiedenti asilo. 

Ovviamente, un simile ridisegnamento delle politiche migratorie non è possibile senza una radicale trasformazione della società, che può avvenire solo attraverso un'adeguata – e organizzata – spinta dal basso da parte delle persone che vivono del proprio lavoro e che condividono interessi materiali e sociali con le popolazioni immigrate. 

Ciò può sembrare utopistico e irrealizzabile, ma la storia dimostra che i fenomeni sociali sono imprevedibili: tutto appare statico e immobile per decenni, per secoli, ma, poi, può cambiare tutto nel corso di una notte.

SDC - In che modo vi siete documentati per la realizzazione di questa graphic novel?
Francesco Della Puppa -  Questo volume a fumetti racconta una ricerca sociologica di due anni, condotta con metodologie etnografiche – prevedendo, cioè, un'immersione "nel campo", vivendo come e con i protagonisti del fenomeno sociale studiato, in questo caso, cioè, gli immigrati richiedenti asilo e rifugiati al di fuori del sistema di accoglienza, parlando con loro e cercando di assumere il loro punto di vista –, nella città di Trento. 

La ricerca, quindi ha previsto che Giulia ed io, ma soprattutto Giulia, coordinata da me, trascorressimo tempo con e come i "disconosciuti", li intervistassimo e frequentassimo e vivessimo con loro i luoghi che essi frequentavano e vivevano: le mense dei frati, i corsi di italiano nel centro sociale, i dormitori pubblici, gli accampamenti informali sotto i ponti, ai margini della città. 

Va detto che non abbiamo mai dormito sotto il ponte con loro, ma il racconto delle loro notti all'addiaccio è stato ricostruito dalle loro parole; questo è un grosso limite alla nostra ricerca.




SDC - C'è un episodio in particolare che ti senti di citare per raccontarci la storia di una queste persone?
Francesco Della Puppa -  Lascerei il racconto di specifici episodi la lettura del libro, per non anticipare niente ai lettori e alle lettrici. 

Qua posso solo dire che la ricerca ha portato a galla condizioni lavorative, abitative, esistenziali e sociali che immaginiamo sempre lontane da noi, ma che, in realtà, caratterizzano le città italiane, anche quelle medio-piccole, anche quelle nelle aree più economicamente fiorenti della Penisola. 

Questo volume, quindi, si configura anche come una denuncia di questo stato di cose, determinato dalle politiche migratorie, ma, più in generale, dall'intera organizzazione sociale alla scala internazionale.

Più che episodi in particolare, riporterei alcune caratteristiche pressochè onnipresenti e permanenti della vita e della sopravvivenza dei disconosciuti. 

Tra queste, riprenderei l'intensa mobilità di cui, nonostante l'apparente invisibilità delle loro esistenze, essi sono protagonisti, entro la città in cui vivono – per soddisfare le minime necessità quotidiane, come lavarsi, mangiare, caricare il cellulare e, quindi rimbalzando fra i vari servizi a bassa soglia grazie ai quali riescono a sopravvivere; a livello nazionale – inseguendo stagionalmente gli inserimenti lavorativi, a cui possono accedere, muovendosi d'estate nelle regioni meridionali per lavorare come braccianti agricoli, sempre sfruttati, d'estate, e tornare al Nord, per reinserirsi nella rete di servizi, appunto, in inverno; ma anche a livello internazionale – in cerca di eventuali opportunità lavorative e di inserimento sociale nei Paesi dell'Europa centro-settentrionale, ma, talvolta, anche in altri contesti dell'Europa mediterranea.

Infine, vorrei sottolineare che, nonostante l'asprezza che contraddistingue le loro esistenze, i disconosciuti che abbiamo incontrato e con cui, spesso, abbiamo costruito rapporti di amicizia, sono ragazzi animati dalla speranza e con cui abbiamo condiviso molti momenti di spensieratezza, risate, divertimento e leggerezza.

SDC - In futuro i flussi migratori, legati a guerre e violazione dei diritti civili, nonché da povertà assoluta, potrebbero aumentare. Come possiamo aiutare (e bene) le persone che accorrono qui in cerca di una vita migliore?
Francesco Della Puppa - Le migrazioni dal Sud globale al Nord globale sono state presentate più e più volte come una transitoria emergenza, mentre invece non hanno nulla di transitorio o di emergenziale. 

I tre fattori che ne sono all'origine, infatti, hanno tutti un carattere strutturale: il primo è rintracciabile nelle disuguaglianze economiche di sviluppo, tra nazioni e continenti – che si possono legare direttamente al colonialismo storico e alle attuali forme di neocolonialismo e che si declinano, appunto nell'aumento di guerre, catastrofi climatiche e ambientali, aumento della povertà, etc.; il secondo risiede nella crescita delle aspettative delle popolazioni del Sud – e dell'Est – del mondo; il terzo è costituito dalla richiesta inesauribile di forza-lavoro a basso costo e bassissimi (o nulli) diritti che proviene dal sistema delle imprese e dalle famiglie occidentali.

È chiaro, quindi, che, nell'attuale scenario globale, tali determinanti non solo non stanno venendo meno, ma si stanno vertiginosamente inasprendo e, con ciò, non potranno che aumentare le migrazioni internazionali. 

Questo è l'effetto della crisi strutturale del sistema capitalistico su molteplici fronti (economico, sociale, ambientale, climatico, sanitario, etc.) e dell'inasprirsi delle sue contraddizioni. 

Per fermare questo meccanismo, quindi, dobbiamo, collettivamente, fare piazza pulita di questo vecchio mondo ormai putrescente e, analogamente, per aiutare (bene) le persone che accorrono qui in cerca di una vita migliore dobbiamo innanzitutto smantellare il razzismo di stato e l'impalcatura delle politiche migratorie inferiorizzanti, nonchè lo stesso sistema di accoglienza e le sue strutture di reclusione. 

Soprattutto, dobbiamo avere ben presente che, visti i venti di guerra che spirano in Europa e che dall'Europa si espandono verso il resto del pianeta, non è da escludere che entro un decennio coloro che fuggono dalle loro case, dai quartieri in cui risiedono, dalle città in cui vivono, dai Paesi in cui sono nati, dalle bombe che cadranno sulle nostre teste e su quelle dei nostri cari, con tutta probabilità, saremo proprio noi europei – se, nel frattempo, non riusciremo, attraverso una mobilitazione di massa, a cambiare le sorti della storia.

SDC - Quanto è importante il vostro lavoro di ricerca in questo ambito?
Francesco Della Puppa -  La ricerca, in generale, è fondamentale per avanzare la critica e promuovere la trasformazione sociale. La ricerca, se fatta bene, rende visibile ciò che è nascosto ed è solo così che lo si può riconoscere, confutare, superare. Essa disvela la trama che sta sotto il senso comune, oltre la superficie di come appaiono le cose e restituisce la realtà per com'è.

Scriveva Marx che "la critica non è una passione del cervello, è il cervello della passione. Non è un coltello anatomico, ma un'arma. Il suo soggetto è il suo nemico, che essa non vuole confutare, bensì distruggere, poiché lo spirito di tali condizioni di vita è già confutato. Non si tratta di oggetti di per sé 'degni' di attenzione, bensì di spregevoli e disprezzate 'esistenze'. La critica per se stessa non ha bisogno di chiarire i suoi rapporti con tale oggetto, essendo nei suoi confronti perfettamente in chiaro. Essa non si pone più come fine assoluto, ma soltanto come mezzo. Il suo atteggiamento essenziale è l"indignazione', la sua ragione di vita è la denuncia".

La ricerca sociale, quindi, può e deve diventare uno strumento di lotta, mettersi al servizio del cambiamento, non può essere un esercizio intellettuale fine a sé stesso o, peggio, riprodurre e legittimare lo status quo

La ricerca deve diventare uno strumento di smascheramento e annientamento delle "esistenze spregevoli e disprezzate".

SDC - C'è qualche altro progetto legato a questo volume a cui state lavorando?
Francesco Della Puppa -  Nonostante siano passati quasi otto mesi dalla pubblicazione de I disconosciuti, continuiamo a presentarlo in diversi festival, conferenze, librerie e ne avremo ancora per un bel po'.

A parte questo tour di presentazioni non abbiamo altri progetti legati a questo volume, ma con alcuni membri della squadra che ho formato per questo libro, sto imbastendo un nuovo progetto a fumetti, su cui inizieremo a lavorare negli ultimi mesi del 2025 e che prende le mosse, ancora una volta, da alcune ricerche sociologiche ed etnografiche, focalizzate su una tematica molto attuale. 

Ma non voglio rivelare di più...


Titolo: I disconosciuti
Autori e Autrici:  Francesco Della Puppa, Alessandro Lise, Francesco Matteuzzi, Francesco Saresin e Giulia Storato
Caratteristiche: 132 pp. col., brossura con alette
ISBN: 9788833143569


Francesco Della Puppa
Dottore di ricerca in Scienze Sociali, ricercatore, docente e sociologo presso l'Università Ca' Foscari di Venezia, svolge ricerca nell'ambito delle migrazioni internazionali, della famiglia immigrata, del lavoro immigrato, della costruzione sociale del genere nell'esperienza migratoria, ma anche del lavoro e degli studi urbani, prediligendo l'approccio etnografico.

Ha pubblicato diversi saggi e articoli, su riviste nazionali e internazionali, sui temi delle migrazioni internazionali. Ha vinto il premio Pietro Conti "Scrivere le migrazioni".

"La linea dell'orizzonte. Un'ethnographic novel sulla migrazion tra Bangladesh, Italia e Londra" è stato il suo primo lavoro a fumetti.