![]() |
Filippo Poletti - L'arte dell'ascolto - Fotografia © Alessandro Tintori |
SDC - L'arte
dell'ascolto: musica al lavoro
è il tuo ultimo libro. Un libro di interviste a personaggi di spicco
del panorama italiano, raccontandosi attraverso la musica. Come nasce
l'idea di questo progetto?
Filippo Poletti - «Dal
desiderio di incontrare grandi personaggi e di imparare l’arte
dell’ascolto da loro. Era il 1999, 25 anni fa, quando mi venne
l’idea di scrivere la “storia dell’ascolto della musica”.
Durante gli studi, infatti, avevo approfondito la “storia della
musica”. Mi mancava, però, un tassello importante, ossia indagare
come “la storia della musica” veniva percepita. E così ho
iniziato, andando a bussare a grandi italiani, appassionati di
musica».
SDC - Una
sola domanda per “vivere” e “ascoltare” la musica con
orecchie diverse. Qual è, dunque, il genere musicale più ascoltato?
Filippo Poletti -
«I
classici, direi. I grandi italiani, chi più chi meno, sono o erano
grandi appassionati della musica ereditata dal passato, da Vivaldi a
Chopin, così come della musica popolare o rock. I
gusti musicali degli intervistati sono davvero eterogenei: nelle loro
library
convivono tranquillamente i classicissimi Bach, Mozart, Beethoven con
gli autori di musiche da film, l’opera lirica con il jazz, il pop
con l’avanguardia più radicale, un po’ – ha scritto bene Carlo
Fontana nella prefazione al libro – “come nel nostro guardaroba
si trovano i jeans accanto allo smoking”».
SDC - La
musica influisce sulle attività lavorative di chi hai intervistato?
O viceversa?
Filippo Poletti -
«L’ascolto
della musica attiva le onde beta nel nostro cervello (collegate alla
concentrazione e vigilanza) o le onde alfa (legate al rilassamento):
nel primo caso si tratta di brani con battiti al minuto compresi tra
100 e 180 (ossia con un ritmo andante), nel secondo caso di pezzi con
molto meno battiti al minuto (60 all’incirca). Potremmo dire che
certa musica, andante, è un “doping naturale” per la mente.
Singolare, a questo proposito, è la testimonianza del pubblicitario Gavino Sanna, che racconta come lavorando ami ascoltare il primo movimento del “Concerto” per violino e orchestra del 1806 di Ludwig van Beethoven. Completamente diversa è l’esperienza dell’attrice Ottavia Piccolo che dice: “Mi dà fastidio sentirla come rumore di sottofondo, specie durante la lettura, da sempre la mia attività preferita nei momenti di riposo”».
SDC - Nel volume sono presenti personaggi come Piero Angela, Giorgio Armani, Enzo Biagi, Mike Bongiorno, Gillo Dorfles, Dario Fo, Margherita Hack, Enzo Jannacci, Nicola Piovani, Carlo Rambaldi, Antonio Tabucchi, Beatrice Venezi, Carlo Verdone, Luigi Veronelli, Umberto Veronesi, Bruno Vespa, Paolo Villaggio e molti altri. In venticinque anni di interviste come sono cambiati (o non sono cambiati) i gusti musicali?
Filippo Poletti - «Come ripete il musicologo Quirino Principe, la musica si divide in “forte” e “debole”: è l’unico distinguo possibile, che spiega la fortuna intramontabile di alcuni autori rispetto ad altri. Sotto questo punto di vista la musica “forte” resta “forte”. Certamente, l’attenzione nei riguardi della musica della tradizione classica è decresciuta negli anni.
Già nel 1999, tuttavia, il Nobel per l’economia Franco Modigliani, che intervistai, diceva: “Secondo me contano ancora i grandi classici. Punterei su un ritorno delle arie, cantate dappertutto, perfino negli stadi”. Per questo il filologo classico Luciano Canfora suggerisce di “trasmettere la musica classica per ogni dove, in filodiffusione. Fuorché in biblioteca”».
SDC - Tra
gli ospiti del tuo libro citiamo, in particolar modo, Tiziano Sclavi,
il papà di Dylan Dog, uno dei fumetti di punta della casa editrice
Sergio Bonelli Editore. Puoi parlarci in particolare di questa
intervista? Qual è la musica preferita di Sclavi? Quanto la musica
ha influito sulle atmosfere horror dei suoi fumetti?
Filippo Poletti -
«Partiamo
ricordando che Dylan Dog, l’indagatore dell’incubo, è un
clarinettista: per Sclavi, tuttavia, la musica non è mai un incubo,
ma un sogno. Odia l’opera lirica che trova noiossisima. Il suo
giudizio è, a questo proposito, tranchant:
“A parte pochissime eccezioni, trovo le opere noiose, ridicole e
soprattutto mortali. È l’opera stessa, in quanto genere, a essere
morta, o perlomeno in coma irreversibile, tenuta in vita con
accanimento terapeutico da grotteschi teatri e ancor più grotteschi
“artisti”. Dunque, per me, l’opera in sé puzzerebbe (se non
fossi totalmente anosmico) di putrefazione”.
La hit del papà di Dylan Dog? Per quanto riguarda la musica classica ascolta quasi solo musica antica e barocca: Vivaldi, Bach, Boccherini, ma anche semisconosciuti come Field e Hume. Ha una predilezione per la viola da gamba e il violoncello. Ama anche Beethoven e, in particolare, la “Nona Sinfonia”. La sua hit “post classica”? Il jazz, amore intensissimo, poco rock e poco pop, con rapimenti estemporanei per sottogeneri, come l’heavy metal. Infine, la canzone d’autore italiana: De André e Guccini in testa, come dice lui, “grandi poeti”».
SDC - Quanto
è importante saper ascoltare al giorno d'oggi? Le nuove generazioni
sono ancora in grado di ascoltare? E quelle più anziane, sono pronte
al cambiamento?
Filippo Poletti -
«Importantissimo:
viviamo nell’epoca dell’intervallo perduto, come spiega il
filosofo Gillo Dorfles. Pensiamo alla vita quotidiana, bombardata dal
veloce succedersi e sovrapporsi di eventi di ogni tipo: musicali,
visivi, olfattivi, tattili e via dicendo, tanto più grave se
pensiamo – come aggiunge questo grande pensatore – che “proprio
sull’elemento intervallare è fondato il modo di essere e
articolarsi dell’arte musicale di ogni tempo (dai nómoi greci ai
raga indiani, dai modi gregoriani alla scala esatonale di Debussy
fino all’uso intensivo nel jazz degli intervalli di nona e
tredicesima)”.
Di fronte a questo flusso continuo di sollecitazioni non resta, giovani e meno giovani, che imparare a prendersi delle pause. In fondo, la “Quinta Sinfonia” di Beethoven inizia con delle pause. In quanto poi all’attitudine al cambiamento, ciascuno di noi ascolta con l’orecchio interno, ossia con il cervello: siamo figli dei nostri ascolti, sedimentati negli anni. E, aggiungo, non c’è nulla di grave di essere affezionati ai nostri ricordi musicali».
SDC - Ad
accompagnare la lettura del libro edito da Guerini è la playlist
“L’arte dell’ascolto: musica al lavoro”, pubblicata su
Spotify e composta da 34 ore di ascolti dei brani citati nelle
interviste. Quali sono alcuni dei brani che troviamo nella playlist?
Puoi citarne qualcuno?
Filippo Poletti -
«C’è
tanto Vivaldi, perché la musica barocca con la retorica dei suoi
affetti proposti nei brani è impossibile da non amare. Di Vivaldi,
strumentale e vocale, Mike Bongiorno possedeva una notevole
collezione discografica. La doveva al grande Angelo Ephrikian (papÃ
di Laura, prima moglie di Gianni Morandi), prima scopritore e poi
interprete delle musiche del Prete Rosso. Fu lui, assieme ad Antonio
Fanna e all’Istituto italiano Antonio Vivaldi di Venezia, a
pubblicare l’opera strumentale del Maestro con la casa editrice
Ricordi. E ogni volta che Ephrikian portava alla luce un nuovo
spartito, lo incideva, mandandogliene una copia. Dopo tante sedute
vivaldiane la sua passione per quella musica era diventata così viva
che tutte le mattine la ascoltava.
Poi, oltre a Vivaldi, a proposito della playlist su Spotify legata al mio libro, ci sono i grandi capolavori della musica leggera, Vasco Rossi in primis».
SDC - Qual
è invece la musica che tu ascolti? Qual è l'artista o la band che
preferisci?
Filippo Poletti -
«Anch’io,
come Mike, amo la musica barocca, da Claudio Monteverdi ad Antonio
Vivaldi. Circa l’artista, punto diritto sui Beatles, Eugenio
Finardi e Roberto Vecchioni, non a caso (parlo degli ultimi due)
presenti nel libro con delle belle interviste».
SDC - Attualmente
stai lavorando a qualche altro progetto?
Filippo Poletti -
«Sta
per uscire il libro “Il lavoro da offrire, la proposta da
accettare”: è una riflessione sui nostri giorni. Entro l’anno,
poi, usciranno dei racconti d’impresa dedicati a grandi manager e
imprenditori. Perché, come amo ripetere, ogni imprenditore merita un
romanzo».
SCHEDA DEL LIBRO:
Autore: Filippo Poletti
Titolo: “L’arte dell’ascolto: musica al lavoro”
Argomento: 120 interviste a grandi personaggi sulla musica
Particolarità : playlist di 34 ore su Spotify con i brani citati nelle 120 interviste
Casa editrice: Guerini Next
Pagine: 384
Prezzo di copertina: 23,50 €
Uscita in libreria: 7 dicembre 2024
Filippo Poletti: top voice di LinkedIn Italia, milanese con
executive MBA alla POLIMI Graduate School of Management e TEDx speaker,
dal 2017 cura su LinkedIn una rubrica giornaliera
dedicata ai cambiamenti delle professioni.
Il suo profilo è stato
inserito da WikiMilano tra i protagonisti della metropoli italiana.
Speaker e giornalista professionista ha collaborato con oltre 30 testate
come il
Corriere della Sera e il Sole 24 Ore.
Tra i suoi i libri “Tempo di IoP: Intranet of People”, “MBA Power: innovare alla ricerca del proprio purpose” e “Smart Leadership Canvas: come guidare la rivoluzione dell’intelligenza artificiale”
e “L’arte dell’ascolto: musica al lavoro”.
0 Commenti
Cosa ne pensi? Scrivici