Vita (e morte) di un gentiluomo: infanzia, gioventù, e ultimi giorni di Howard Phillips Lovecraft, pubblicato per conto de La Torre Editrice, e curato da Pietro Guarriello, racconta aspetti della vita (e della morte) dello scrittore dell’occulto che ancora ci erano oscuri.

Sicuramente i più si domanderanno: c’era bisogno di un nuovo libro su Lovecraft? Non conoscevamo già tutto del creatore dei miti di Cthulhu? È evidente che chi ama questo scrittore è avido di conoscenza su di lui, e vuole capire sempre di più cosa possa aver portato il talento di Providence a creare un Pantheon di “divinità” che ancora oggi affascina lettori di tutte le età.

Questo libro placa (anche se temiamo solo temporaneamente) la sete dei fan, ed aggiunge moltissime informazioni che fino a questo momento ci erano oscure e inedite. All’interno del libro viene ad esempio pubblicato per la prima volta in italiano il “Diario di morte” nella rielaborazione di Robert H. Barlow, amico ed esecutore letterario di Lovecraft. L’originario diario di morte, scritto da Lovecraft stesso, si considera oggi perduto o non più esistente.

Nel libro troviamo, inoltre, diverse testimonianze di molte persone che lo hanno conosciuto, e soprattutto vengono stilate, per quanto fedeli possibile, le biografie dei genitori di Lovecraft, fondamentali per comprendere ancora più a fondo cosa spinse il giovane Howard ad intraprendere quel percorso che lo portò a diventare uno dei più influenti scrittori statunitensi del secolo scorso. Le malattie fisiche e mentali di entrambi i genitori non hanno potuto lasciare indifferente il loro figlio, che infatti si sentì ben presto portatore anch’egli di qualche strana malattia, al punto da arrivare a scrivere in una delle sue lettere all’amico Maurice: “non ho ereditato un buon sistema nervoso, visto che i miei parenti stretti da entrambi i rami della mia stirpe erano soggetti a mal di testa, logoramenti dei nervi, ed esaurimenti” (p.33).

Il volume è poi ricco di moltissime foto, non solo dello scrittore, ma anche dei parenti, degli amici, e delle sue donne di un tempo. Tali foto, la maggior parte delle quali pubblicate per la prima volta in Italia, mostrano anche aspetti curiosi della vita del giovane Lovecraft: in più di una foto, ad esempio, viene ritratto il piccolo Howard vestito in abiti femminili, perché le gonne, al tempo, agevolavano il “cambio pannolino”, che sarebbe risultato troppo scomodo se i bambini avessero indossato un pantalone. Sono presenti, inoltre, anche numerose immagini in cui sono riportati disegni, schizzi e appunti di Lovecraft degli inizi del ‘900, quando era impegnato con i suoi studi di astronomia (e nel libro se ne parla moltissimo: “Howard si dedicò all’hobby dell’astronomia come quel faro di speranza che lo salvò dall’essere un completo disadattato”, p. 132), ma abbiamo immagini anche del certificato di matrimonio dei genitori, della casa dove lo scrittore passò molti anni della sua vita, e dell’ospedale psichiatrico dove venne ricoverata la madre, e dove probabilmente iniziarono tutti i suoi incubi, ed il suo proverbiale pessimismo. Tant’è che nel 1917 scrive: “L’uomo, così distante dall’essere il centrale e supremo oggetto della Natura, si è chiaramente dimostrato un mero episodio, forse un incidente, di uno schema naturale la cui portata illimitata lo relega alla più totale insignificanza” (p.164).

Curiose sono poi alcune delle testimonianze di coloro che li hanno conosciuti, come quella della signora Guiney, che per un periodo fu costretta ad ospitare la famiglia Lovecraft nella propria dimora. Riporto giusto alcune delle parole ritrovate in un suo diario, per far intendere come il piccolo Lovecraft potesse percepire cosa la gente pensasse di lui: “Sono due e un pezzetto (il pezzetto è Howard naturalmente, ndr) e, come detto, due terribili filistei, che detesto con forza […] gli innominabili se ne sono andati, e siamo finalmente padrone di noi stesse” (p. 19-20). Le ho volute riportare anche perché quando le ho lette ho avuto come la sensazione di trovarmi davanti ad uno dei racconti di Lovecraft. Il tono sembrava lo stesso, e mi piace pensare che se anche il piccolo Howard non lo avesse mai saputo, in qualche modo anche quell’esperienza lo avesse comunque potuto influenzare nei suoi incubi futuri.

Il libro prosegue poi naturalmente ripercorrendo la carriera letteraria dello scrittore, che di certo in vita non ebbe la giustizia e il seguito che avrebbe meritato. Tale carriera, descritta per interi capitoli, possiamo riassumerla con questa frase: “Egli riuscì, da una parte, ad assorbire i più alti traguardi estetici della cultura occidentale […] e nel contempo abbassarsi verso la produzione più dozzinale della letteratura popolare” (p. 201). Lovecraft mi piace pensarlo come se fosse stato una sorta di “divulgatore scientifico”, come se avesse voluto a tutti i costi “istruire” chi non fosse avvezzo alla lettura. Eppure era così solo, sociopatico, e se c’era una cosa che amava fare era starsene per conto proprio, immerso nei suoi studi, circondato esclusivamente dalla sua biblioteca.

Le curiosità riportate nel libro sono davvero tantissime, e finalmente troviamo la risposta ad annose domande che gli appassionati di Lovecraft si chiedono da tempo: lo scrittore possedeva una macchina da stampa? Ed amava o no la matematica? Non vi spoilero nulla, trovate le risposte a p.141 per il primo quesito, e a p. 167 per il secondo. Inoltre, che fine ha fatto la sua famosa collezione di francobolli? Trovate la risposta a p. 178.

Insomma, un vero amante di Lovecraft non può non possedere questo libro, le cui riflessioni ho solo qui accennato, ma che andrebbero sviluppate e studiate molto più a fondo.

Vita (e morte) di un gentiluomo: infanzia, gioventù e ultimi giorni di Howard Phillips Lovecraft. A cura di Pietro Guarriello, prefazione di Gianfranco de Turris. Società editrice la Torre, 2022. 28,50€