Una squadra di autori composta da Massimiliano Martini, Luigi Siviero, Filippo Rossi, Attilio Palmieri, Daniela Bortolotti, Gianluca Morozzi ed Eugenia Fattori analizza opere come Star Trek, Sherlock Holmes, Star Wars e Doctor Who chiedendosi come queste non solo abbiano segnato i tempi e cambiato il nostro immaginario, ma anche come tali opere siano cambiate con il tempo, definendo la propria identità e spesso anche attraverso un percorso di inclusione di genere e delle diversità.

Daniela Bortolotti, che insieme a Attilio Palmieri, Gianluca Morozzi ed Eugenia Fattori, ha scritto il saggio Doctor Who e la rappresentazione femminile, contenuto nel secondo volume The Stories They Are a-changin', rispondono alla nostra intervista di approfondimento.
 
 

Sara Di Carlo - Nel saggio The Stories They Are a-Changin', assieme a Attilio Palmieri, Gianluca Morozzi ed Eugenia Fattori, scrivi della serie Doctor Who. Qual è il cambiamento che avviene in questa serie?
Daniela Bortolotti - Un cambiamento semplice e allo stesso tempo epocale.

La trovata geniale che ha reso Doctor Who la serie più longeva ancora in onda è la Rigenerazione, ovvero il cambiamento fisico che subisce il Dottore, il protagonista della serie, quando si trova in punto di morte.

Cambiamento fisico che vuol dire: un nuovo attore a interpretarlo.

Dal cosiddetto Primo Dottore (William Hartnell) al Dodicesimo (Peter Capaldi) passando per il War Doctor (John Hurt), ogni Rigenerazione aveva portato in scena un attore maschio.

Ma al termine dello Speciale Natalizio del 2017, dalla familiare fontana d'energia che ha consumato il Dodicesimo Dottore è emersa Jodie Whittaker, la prima donna a vestire i panni del nostro viaggiatore del tempo e dello spazio preferito.

SDC - Quanto è rilevante il cambiamento messo in atto nella serie?
Gianluca Morozzi - Enorme, a livello d'impatto culturale.

Abbiamo sempre dato per scontato che un alieno potesse incarnarsi solo in un maschio bianco e curiosamente britannico, che fosse l'iconico Tom Baker o lo strepitoso David Tennant, che avesse il farfallino di Matt Smith o i capelli grigi di Peter Capaldi.

Avere una donna ha dato vita a nuove interazioni con compagni e avversari, e tra l'altro, con la gestione del nuovo showrunner Chibnall, è stato un modo per incontrare su e giù per il tempo personaggi femminili di grande rilevanza: da Rosa Parks, protagonista di un bellissimo episodio, alla matematica Ada Lovelace, all'infermiera Mary Seacole, grande figura della guerra di Crimea.

SDC - Quanto questo cambiamento è piaciuto o meno agli spettatori?
Gianluca Morozzi - Ovviamente è stata una scelta divisiva, ma credo che fosse scontato.

Il fan di una serie di lunga durata è conservatore per definizione e accetta male il cambiamento: è stato anche un modo per verificare il livello di sessimo presente in certi tossici fandom, peraltro.

Ora che mancano pochi mesi alla nuova Rigenerazione e all'addio di Jodie, non sappiamo se aspettarci un nuovo Doctor donna o un ritorno al passato, ma la strada è certamente tracciata.

Tra l'altro, nel corso della Dodicesima Stagione, Chibnall ha creato la misteriosa figura del Fugitive Doctor, un'altra incarnazione femminile interpretata da Jo Martin… tanto per ribadire il concetto!

SDC - Quanto le storie raccontate in film e serie tv hanno avuto un impatto anche nel mondo reale?

Attilio Palmieri - L'impatto è enorme anche se quasi mai visibile nell'immediato.

Realtà e immaginario hanno un rapporto strettissimo e da sempre le storie che vediamo al cinema e in televisione riproducono dinamiche relazionali, valori e ideali presenti nella nostra società e tipici della nostra cultura.

Allo stesso tempo, però, è vero anche l'inverso, perché la nostra società viene modellata anche dalle storie di finzione che la popolano, le quali hanno un ruolo nella nascita e nel consolidamento di abitudini e desideri.

Anche per questo una rappresentazione autentica di tutte le categorie sociali è fondamentale, perché vedersi come protagonisti nelle storie aiuta a essere protagonisti nella vita.

SDC - Quali sono, secondo te, i personaggi che meglio hanno incarnato il cambiamento e l'inclusione?
Eugenia Fattori e Attilio Palmieri - Innanzitutto non parlerei di inclusione ma di rappresentazione: inclusione presuppone che le persone finora escluse dal racconto del mondo che si vede sullo schermo debbano essere "integrate" in esso, mentre è il racconto del mondo che deve cambiare radicalmente.

In poche parole, servono più storie e storie differenti che ci offrano una diversa prospettiva sulla realtà.

Per questo è quasi impossibile dare risposte univoche, perché ogni personaggio ha un ruolo diverso nella costruzione e nella de-costruzione dell'immaginario collettivo, i nuovi discorsi da fare sono tanti e ogni rottura con stereotipi e dinamiche dell'industria serve al suo scopo.

Ma restando sul discorso dell'identità di genere, il cast più vario in questi termini mai visto in un prodotto audiovisivo è senz'altro quello di Pose (FX, in Italia su Netflix): period drama la cui sensibilità spiccata verso la necessità di raccontare storie (quelle delle persone LGBT e in particolare delle persone trangender of color) finora invisibili sullo schermo l'ha resa d'importanza storica rivoluzionaria, e che evita la trappola delle intenzioni educative, del pietismo e della feticizzazione.

Ancora più importante di un casting "diverse", infatti, è il fatto che queste storie siano scritte, dirette e interpretate da persone della comunità; questo fa sì che non ci sia mai un occhio oggettificante che ce le racconta come "altro", come questioni eccezionali, ma storie di persone reali, tridimensionali e dotate di agenda sulla propria vita.

Un altro esempio straordinario, uscito proprio nel 2021, è Reservation Dogs (FX, in Italia su Disney+): la serie racconta un gruppo di adolescenti di una riserva di nativi americani dell'Oklahoma, ed è scritta da un team creativo (guidato da Sterlin Harjo) interamente composto da persone indigene, così come il cast.

Anche in questo caso però non è tanto il casting che conta ma il proporre a chi guarda un'esperienza televisiva unica che deriva dal racconto dall'interno, filtrato da uno sguardo sulla realtà altrettanto unico.

SDC - Cosa ne pensate delle nuove serie tv che, attingendo a quelle passate, ridefiniscono ruoli e personaggi in modo completamente diverso?
Eugenia Fattori e Attilio Palmieri - Riportare in vita personaggi appartenenti al passato attraverso i revival è un'operazione sempre insidiosa perché nonostante il desiderio spinto dall'effetto nostalgia è molto probabile che un personaggio che ha avuto successo in un contesto non ce l'abbia nel nuovo.

Il revival di Gilmore Girls, per esempio, non ha avuto nulla dell'impatto ottenuto dalla serie anni prima perché non ha cercato di costruire qualcosa di diverso e di rilevante.

Viceversa, One Day at a Time, pur essendo il reboot di un caposaldo della televisione americana del secolo scorso, è stato costruito con grande attenzione al presente e ha saputo raccontare in maniera eccellente alcuni tra i principali temi della contemporaneità, parlando in maniera appropriata e brillante di immigrazione, salute mentale, orientamento sessuale, dipendenze e monogenitorialità.

SDC - Stai lavorando a qualche altro progetto di cui vuoi parlarci?
Daniela Bortolotti - Ognuno di noi ha un percorso professionale con svariati nuovi progetti: per quanto riguarda il grande amore che ci unisce nei confronti della serie Doctor Who abbiamo sicuramente una novità e cioè che il nostro podcast (il primo in Italia sul Doctor, teniamo a specificare!) verrà presto aggiornato con almeno due nuove puntate che parleranno di questa ultima stagione… ma non prima della fine del 2021 perché dobbiamo prepararci molto bene!

Per chi vuole seguire il podcast, che si trova sia su Spreaker che su Spotify, il link è questo: https://www.spreaker.com/user/doctorwho


Titolo: The Stories They Are a-Changin'
Costo: 13,00€
Formato 20×22 cm, copertina flessibile, brossurato, 156 pagine