Titolo: Sindrome Italia

Autrici: Tiziana Francesca Vaccaro e Elena Mistrello
Caratteristiche: 160 pp. col., brossura con alette
ISBN: 9788833141688

Cos'è la Sindrome Italia?
Chi sono le donne che dall'est arrivano nel nostro Paese per prendersi cura dei nostri cari? Cosa lasciano e cosa trovano in questo nuovo percorso di vita? Cosa succede quando tornano nella loro terra natia?

Sindrome Italia racconta uno spaccato di vita poco noto: donne che partono per lavoro e poi restano in qualche modo sospese, con quella Sindrome Italia che le avvolge quando tornano nel loro paese.

Attraverso gli occhi di Vasilica, le autrici Tiziana Francesca Vaccaro e Elena Mistrello, raccontano le storie di queste donne.

In questa intervista ad A6 Fanzine, ci raccontano come nasce questo progetto fumettoso, edito da Becco Giallo Editore.


SDC – Come nasce il progetto Sindrome Italia?
Tiziana Francesca Vaccaro - Era il 2018. 

Abitavo in un palazzo al quinto piano senza ascensore. Un giorno, mentre salivo le scale, ho incontrato Valentina, una mia vicina di casa. Tra un piano e l'altro, un affanno e l'altro, abbiamo cominciato a chiacchierare. Era ucraina e faceva la badante, aveva appena fatto la notte a casa degli anziani di cui si prendeva cura.

"Un sali e scendi faticoso per chi ha lavorato senza sosta" Рho subito pensato. Ma lei voleva comunque avere un letto dove tornare a riposare e che non fosse nella stessa casa dei suoi assistiti, perch̩ aveva bisogno di tempo solo per s̩ stessa. Anche se nell'appartamento non viveva mica da sola, non se lo sarebbe potuto permettere! Erano in cinque, tutte donne, ucraine, badanti. Cinque in 50 mq.

Stavano strette, mi diceva, ma almeno potevano parlare la loro lingua e sfogarsi un po' tra di loro.

In quel periodo stavo cercando materiale per scrivere il mio prossimo spettacolo teatrale.

Cercavo storie che potessero ispirarmi, emozionarmi, squarciarmi. Ogni volta che incontravo Valentina per le scale, lei mi raccontava qualcosa, soprattutto del suo lavoro e della fatica che era sempre tanta, parlava con gli occhi bassi, occhi lucidi, occhi scavati dalla stanchezza.

Eccola lì una storia che sicuramente valeva la pena raccontare, un tema interessante da sviscerare.

Da quel giorno è nata la ricerca che mi ha portato a conoscere, e quindi poi a scrivere, il fenomeno "Sindrome Italia".



SDC РSindrome Italia ̬ il tuo nuovo lavoro per Becco Giallo. Come nasce la collaborazione con Tiziana Francesca Vaccaro?
Elena Mistrello - La prima collaborazione con Tiziana risale al 2018, quando mi ha contattata per le illustrazioni del suo spettacolo "Terra di Rosa". Io ne ero felicissima perché mi piaceva moltissimo Rosa Balistreri, di cui appunto il suo spettacolo parlava, e perché non molti la conoscevano quindi non mi sembrava vero, ero entusiasta di iniziare quel lavoro.

Successivamente abbiamo realizzato le tavole a fumetti per la drammaturgia teatrale da cui è nato il libro "Terra di Rosa, vite di uno spettacolo" che lei stessa ha autoprodotto, il libro annesso alla mostra delle tavole e allo spettacolo lo abbiamo portato anche a Bologna, all'interno di BilBolBul Off, è stata un'esperienza molto ibrida e fuori dal comune.

La collaborazione è stata molto lunga e interessante, tra l'altro tutto è nato grazie a due amiche in comune, Rita e Teresa. In particolare Teresa e Tiziana mi hanno coinvolta anche per le illustrazioni del loro ultimo progetto\documentario "La Cura, quanto vale un corpo".

Quindi si tratta insomma di un bellissimo intreccio di professionalità e amicizie che sono contenta di coltivare, trovo molto prezioso il confronto con altri ambiti culturali.


SDC – Sindrome Italia nasce in principio come spettacolo teatrale. Come hai dunque raccontato questa storia utilizzando il fumetto?
TFV - Da autrice, amante delle sperimentazioni, degli ibridi, delle miscele di linguaggi, ho iniziato un giorno a vedere la storia di Vasilica disegnata. A vederla nitidamente, vignetta dopo vignetta.

"Ma come si può far vedere una malattia con i disegni?"

Questa è la domanda che ho fatto un giorno a Elena Mistrello, autrice dei disegni e mia compagna in questo progetto. Elena, a cui mi lega un forte feeling nato in precedenti collaborazioni, mi ha risposto così: "Semplicemente disegnamola".

Scrivere un fumetto, però, è sicuramente molto diverso da scrivere una drammaturgia, a maggior ragione se il testo, come in questo caso, è un monologo per sola attrice.

Prima di mettere nero su bianco quindi ho studiato sceneggiatura, come sempre ogni volta che mi avvicino a un nuovo linguaggio. L'ho studiato a fondo, volevo e dovevo conoscerlo bene.

A quel punto è partito un altro viaggio ancora, in cui hanno preso vita le rane, l'acqua, i colori.

Elena si nutriva delle mie parole, dei miei racconti e la sceneggiatura delle sue visioni: man mano che i disegni prendevano vita, cambiavano anche le parole, le scene.

A un certo punto tutto si è fuso.


SDC – In che modo ti sei preparata per illustrare questa storia?
EM - Quasi un anno e mezzo fa con Tiziana abbiamo lavorato alla locandina del suo nuovo spettacolo "Sindrome Italia" appunto. La lavorazione di quella locandina è stata molto lunga, io non conoscevo il tema, e Tiziana ci teneva molto affinché ci entrassi il più possibile.

Abbiamo vagliato molti schizzi e alla fine abbiamo trovato una quadra, io ci ero effettivamente entrata molto di più. Quando poi mi ha proposto di lavorare all'adattamento a fumetti diciamo che il percorso era in parte iniziato.

Nonostante questo, lo scoglio più grande è stato quello della scelta dello stile.

Ogni volta che inizio un lavoro, cerco di trovare lo stile adattato e molto spesso passo mesi alla ricerca del linguaggio giusto, ma in questo caso ho dovuto fare qualche passo indietro, scegliendo alla fine uno stile che mi fosse più familiare e anche più intimo.

Questo ci ha permesso di lavorare molto di più sulla narrazione, sull'emotività e sulla semplicità.

Ero arrivata alla conclusione che l'importante non era la virtuosità del disegno ma il mio rapporto con il personaggio di Vasilica, in qualche modo le scelte che ho preso si sono adattate a questo.

Si tratta del mio primo fumetto interamente disegnato da me, quindi è stato un percorso bello ma mi ha messo alla prova su diversi aspetti, c'è stato un confronto costante con Tiziana e con Mattia di Beccogiallo.


SDC – Chi sono dunque le persone che lasciano la loro terra natia e arrivano in Italia per accudire nuove famiglie, lasciando invece le proprie lontane e in un altro stato?
TFV - Sono donne disperate, nel loro Paese spesso vivono in povertà estrema, soffrono la fame, non hanno soldi per comprare i vestiti ai figli, alcune subiscono le violenze dei mariti, anche loro disperati, annegati nell'alcool.

Sono donne che a un certo punto si vedono costrette ad abbandonare la propria famiglia perché non hanno alternativa, così partono per occuparsi della famiglia di qualcun altro.

In Italia sono 1.700.000 le donne migranti: filippine, sudamericane, ucraine, polacche, moldave, rumene. Grazie al passaparola tra connazionali sono incoraggiate a partire, perché in Italia, si sa, il lavoro si trova subito: badante, colf, baby sitter.

Sono donne che, per paura di non riuscire a lasciare i figli, spesso scelgono di andarsene di notte, li mettono a letto come tutte le sere e poi questi bambini si sentono dire al mattino: "La mamma non c'è stamattina, è partita, qualche settimana e poi torna".

Le donne intanto arrivano in Italia, sole. Trovano presto lavoro e molte convivono con l'anziano fino a quando muore. E tutto ricomincia, nella solitudine e troppo spesso nel dolore. Ciò che le fa andare avanti è il desiderio di una vita migliore per la loro famiglia, il sogno di una casa nuova.

Anzi no, di una casa vera.

Sono donne che, nonostante la promessa di ritorno ai figli, non tornano più. O se tornano, molte tornano con la "Sindrome Italia".


SDC – Quali sono le paure e le aspettative di queste persone che raggiungono l'Italia? E cosa accade quando, terminato il loro lavoro, tornano definitivamente in patria?
TFV - La paura più grande sicuramente è quella di star lontano dai figli per troppo tempo e che questi poi, al loro ritorno, possano non riconoscerle.

Anche se molte mi hanno raccontato che quando sono partite, mai avrebbero pensato di passare così tanti anni in Italia. Poi sicuramente, almeno all'inizio, c'è la paura di non trovare un tetto sopra la testa, un lavoro… anche se ormai si sa che è facile per loro trovare lavoro, data l'enorme richiesta da parte delle famiglie di assistenza ai loro cari.

E spesso un lavoro coincide anche con una casa.

Così come, purtroppo, quando questo lavoro viene meno, perché nella maggior parte dei casi viene a mancare l'assistito, viene meno anche la casa. E questa è un'altra grande paura.

Tra le aspettative, invece, la più forte è quella di migliorare le condizioni di vita della propria famiglia, guadagnare più soldi che possono per mandarli nel loro Paese e poter sfamare e mandare a scuola i figli. Il desiderio di avere sempre di più non è mai per sé stesse ma per i figli, unito al grande sogno, che hanno davvero tutte, di costruire una casa nuova.

Casa in cui, una volta tornate, non si riconoscono, perché si sentono straniere anche lì, in quello che era prima il loro Paese.

Gli anni vissuti in Italia sono stati troppi, troppi i dolori, gli strappi. I ricordi delle "signore che ti dicono cosa devi fare" sono ancora nitidi quasi addirittura da poter "sentire ancora le voci, delle signore che ti chiamano" – come mi raccontava Vasilica, la protagonista della mia storia.

Queste donne non tornano mai veramente, mai del tutto. Tornano con i corpi, ma la loro testa rimane in Italia.

Questo è uno dei sintomi più forti della "Sindrome Italia" a cui poi si legano tutti gli altri.


SDC РLe donne, soprattutto, sono quelle che sono migrate dall'est per essere impiegate come assistenti familiari. Dietro i loro volti, ci sono spesso storie inimmaginabili. Eppure sono figure importantissime per le famiglie italiane. Ad oggi, la situazione ̬ migliorata?
TFV - La situazione è complessa e stratificata.

Ci sono quelle, e sono ancora troppe purtroppo, che lavorano in nero, senza alcuna tutela, 24 h su 24. E questo non dipende solo dalla famiglia italiana che non mette in regola, spesso è volontà proprio delle donne: senza tasse da pagare guadagnano di più, e poi per loro non è un problema quante ore lavorare, "più lavoro, più soldi mando subito a casa" – si dicono.

Di contro le famiglie italiane spesso non possono permettersi economicamente di assumere in regola perché peraltro, e questa è un'annosa questione, non ricevono alcun tipo di sostegno dallo Stato.

Molte invece un contratto che prevede le ferie, i giorni di malattia, i contributi versati, ce l'hanno, ma alcune lamentano che non vengono rispettati gli orari, per cui il datore di lavoro si sente in diritto comunque di chiedere di lavorare più ore senza pagarle come straordinari.

Quindi diciamo che molto dipende dalla relazione che si instaura tra le famiglie e queste donne. E ogni caso quindi è a sé.

Un ottimo lavoro però, proprio in questa direzione, lo stanno facendo, tra gli altri, le ACLI COLF, associazioni che organizzano le collaboratrici e i collaboratori familiari e si occupano anche di fare da intermediari nelle relazioni con i datori di lavoro, a tutela ovviamente degli interessi e dei diritti di entrambi.

Molte delle donne, al loro arrivo in Italia, spesso vengono mandate proprio nell'Acli Colf del territorio di pertinenza, che provvede poi ad aiutarle nella ricerca del lavoro ma anche nell'iscrizione a dei corsi professionali appositi per assistenti familiari. E questa è un'altra questione importante che fortunatamente va a migliorare: la nascita di corsi di formazione ad hoc per questi lavori.

Quasi tutte queste donne prima, nel proprio Paese, ma questo riguarda anche le italiane Рfacevano tutt'altro tipo di lavoro, molte sono laureate o specializzate in altri campi. Per prendersi cura come si deve di una persona malata, totalmente dipendente, ̬ fondamentale dotarsi degli strumenti adeguati di cui, solo negli ultimi anni, queste donne vengono fornite. Improvvisare, nel campo delicato della cura, ̬ stato ed ̬ solo nocivo.


SDC – Vasilica è la protagonista di questo fumetto. Attraverso la sua storia, ripercorriamo la storia di tutte le donne che si prendono cura degli anziani. Qual è l'episodio o l'aneddoto che più ti ha colpita?
TFV - Tutti!

A parte gli scherzi, qualcuno sicuramente mi è entrato più dentro rispetto ad altri… Ma la frase che mi fa ancora male, ogni volta che la leggo o la pronuncio quando faccio lo spettacolo, è la domanda: "Ma io a che servo? Non sono più donna, non sono più mamma, che cosa sono? Chi sono?". 
 
L'ha pronunciata Vasilica proprio durante una delle nostre chiacchierate su skype, con una forza e una lucidità tale…

Ecco, io credo che perdersi, perdere sé stesso/a, la propria identità, è come perdere pezzi di vita.

Che nessuno ti restituisce più.


SDC – Qual è l'aspetto che più di ha colpito della protagonista Vasilica?
EM - Non so dirlo con chiarezza, nei mesi in cui disegnavo le tavole mi sembrava di essere completamente nella sua vita.

Le tavole e le vignette a lei dedicate sono tantissime, sembra banale ma sono stata con lei per tantissimo tempo, era come conoscere benissimo una persona.

Questo forse mi ha colpito, il rapporto che si è creato. Merito ovviamente di Tiziana di come ne ha scritto, si dall'inizio infatti abbiamo dato estrema importanza a ogni movimento emotivo del suo volto, agli occhi e ad ogni sfumatura delle sue emozioni.


SDC – Quale sarà il futuro di queste donne?
TFV - L'auspicio è che si vada sempre più verso una completa tutela dei loro diritti di lavoratrici qui in Italia e una consapevolezza maggiore della loro condizione mentale lì nei loro Paesi, una volta tornate.

Che ricevano le giuste attenzioni e cure.

Il desiderio, che poi è uno dei motivi per cui ho deciso di parlare di "Sindrome Italia", è che queste donne possano essere finalmente viste, ma viste veramente, non solo come "badanti", ma come donne, mogli, madri, con delle vite complicate certo, come quelle di tutti noi in fondo, ma proprio per questo, degne di essere rispettate.


SDC – La scelta di illustrare con i colori giallo e nero ha un significato in particolare?
EM - Assolutamente si, come dicevo prima abbiamo scelto la semplicità.

La storia era cronologicamente e geograficamente complessa, innanzitutto si è trattato di capire come renderla più fluida da quel punto di vista. In secondo luogo abbiamo fatto molte riflessioni su come far comprende a chi legge lo stato di sospensione, la dualità della vita di Vasilica in bilico tra Italia e Romania.

E poi c'era l'elemento dell'acqua, fondamentale fin dall'inizio.

La scelta di questi colori deriva principalmente da questo, distinguere i momenti "fisici" da quelli "emotivi" e dargli un tono preciso, creare un'atmosfera specifica a volte grave, tersa o semplicemente sospesa. Con questi pochi colori poi, ci abbiamo costruito attorno il resto.


SDC – Stai lavorando a qualche altro progetto di cui vuoi parlarci?
EM - Sto lavorando ad alcuni progetti molto diversi tra loro, alcuni sono troppo in fase di germoglio per poterne parlane.

In ogni caso faccio un po' di pausa tra un progetto grosso e l'altro, lavorare a un fumetto mi porta via molto tempo e ci dedico davvero tante energie, cerco di fare anche altro e di prendermi il tempo necessario di immergermi in altre cose per poterci lavorare bene.

Attualmente per esempio sto dipingendo un murales all'interno del progetto "Ode alla Montagna" in Valsassina.

A breve vorrei riprende il secondo capitolo di "Lungomare" un fumetto a episodi a cui lavoro in maniera autonoma insieme a Matteo Contin, all'interno del suo progetto Gorgo.