Cult Fiction è la mostra fotografica di Marialba Russo, a cura di Cristina Perrella, dove sono esposti oltre 60 scatti che ritraggono i manifesti di film a luci rosse dalla fine degli anni '70 agli inizi degli anni '80 affissi per le strade di Aversa e di Napoli.

Quando non era ancora presente internet ed i suoi modi di fare pubblicità, quando i cinema si tingevano di rosso e l'unico modo per conoscerne la programmazione erano appunto quelle locandine affisse per le strade.

Una mostra che intende sottolineare da una parte la spinta alla liberazione sessuale di quegli anni, ma al contempo anche la raffigurazione del corpo della donna fortemente mercificato. Una rivoluzione culturale, politica e sociale degli anni '70 che Marialba Russo ha documentato con uno sguardo antropologico.

Marialba Russo racconta in questa intervista ad A6 Fanzine come nasce questo progetto espositivo.


 
Marialba Russo, Cult Fiction (della serie), 1978-80.
Stampa su carta blueback.
Courtesy l'artista.


 


Cult Fiction
è la tua mostra personale allestita presso il Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci di Prato dove sono esposte delle serie fotografiche dedicate ai manifesti dei film a luci rosse apparsi nelle strade di Napoli e di Aversa dalla fine degli anni '70 agli inizi degli anni '80. Come nasce questo progetto?
Sono apparsi nelle strade di Napoli e di Aversa alla fine degli anni Settanta, la loro diffusione è durata circa tre anni, forse qualcosa di più, dal 1981 ha cominciato a diradarsi fino a scomparire.

Non è nato come un progetto, lo è diventato man mano mentre fotografavo, capivo che era un momento particolare e insieme unico, che non era una liberazione sessuale ma più una mercificazione erotica del corpo femminile, basta leggere alcuni titoli, intrisi di misoginia e rivalsa maschile difficilmente confessabile.

Cosa rappresentavano all'epoca le immagini dei manifesti? Quale scalpore (oppure no) provocavano sulle persone?
La loro rappresentazione è ben visibile oggi con l'esposizione di questi manifesti al Centro Pecci, allora si inserivano apparentemente quasi inosservati nella confusione delle strade.

Alcuni manifesti si ripetevano cambiando solo il colore o qualche altro minimo particolare, essi erano in realtà messaggeri per un pubblico di soli uomini tale da fornire loro cosa sarebbe stato proiettato, film che usavano lo stesso visto per passare la censura con più versioni, con lo stesso titolo e con finte copie per poi rimontare tutto in maniera adeguata.

Ad oggi, le sale a luci rosse sono quasi scomparse, dirigendo il tutto sul web. Sia le immagini che i film oramai sono stati fagocitati dal digitale. Secondo te è ancora possibile tornare alle origini, al rientro al cinema? Oppure è ormai divenuto un qualcosa da celare e tenere nascosto nelle mura di casa?
E' impensabile. Non credo sia possibile tornare al cinema.

Il suo esaurirsi, con l'avvento di altri consumi come l'homevideo e con l'in
izio dell'era del divismo di Cicciolina, Moana Pozzi e delle altre scuderie, la pornografia ormai si sdogana, prende piede il porno cartaceo, periodici, tv private, la virata all'hardcore è totale, crolla la difensiva al pudore, l'oscenità è dilagante, sembra accadere in un mondo in cui il femminismo non è mai neppure accaduto.

Cosa catturano le tue fotografie?
Raccontano la realtà alla mia maniera.


Cosa vedrà dunque il visitatore presso il centro Pecci?
Un percorso incredibile nella sua lettura.

La sensazione che ho avuto io entrando è stata quella di essere dentro una memoria cinematografica, sono esposte sessanta grandi stampe fotografiche nella misura del manifesto originale tutte incollate al muro, come nelle intenzioni della curatrice Cristiana Perrella, dare la sensazione di muoversi emotivamente dentro uno spazio urbano, chiedersi come potessero essere state esposte pubblicamente e infine in cornice quattordici stampe come una piccola collezione tratte da tutto il lavoro di circa duecento fotografie.

Forse un senso di pudore ha impedito che quell'epoca trovasse i riconoscimenti necessari alla sua catalogazione, alle sue radici, prima della sua esplosione e i motivi poi che portarono alla sua fine.

Per un motivo o per un altro, la raffigurazione del corpo delle donne è rappresentato nell'arte. Da musa a semplice "oggetto". Qual è il confine e chi lo decide?
Il porno nasce agli inizi degli anni Sessanta a Soho, dove le gallerie d'arte aprivano le loro sedi vicino ai bordelli.

Una raffigurazione appartiene all'immaginario, un'altra alla realtà e sono due mondi che non si incontreranno mai.

Il confine che sembra un limite tracciabile, in realtà non trova un punto di congiungimento, anche quando sembra raggiunto come sentimento.


Assieme al progetto espositivo, sarà lanciato anche il progetto radiofonico Radio Luna, riprendendo l'esperimento radiofonico del 1975 con Ilona Staller, conduttrice della prima e unica radio sexy italiana che ha fatto scalpore, ma ha avuto anche un incredibile seguito. Quali sono le tematiche che saranno affrontate durante queste trasmissione radiofoniche?
Bisogna chiederlo alla curatrice Cristiana Perrella se ci sono tematiche definite, credo che riprendere Radio Luna sarà come dar voce a tematiche tutte da scoprire.


Come è cambiata la società di oggi rispetto le tematiche sulla sessualità? Possiamo ancora definirlo un tabù o qualcosa sta cambiando?
Tanto è cambiato, non credo di poterlo definire ancora un tabù, è come lo si percepisce a contatto con il proprio desiderio e il desiderio è passato e presente.


Durante la pandemia alcune ricerche hanno evidenziato che il sesso è stato messo da parte dalla maggior parte delle persone. Sia coppie che single (per forza maggiore questi ultimi). Come ti spieghi questo fenomeno?
Credo che i mesi vissuti siano stati durissimi e come dice Elisa Cuter:


Ricominciamo dal desiderio.



A quali altri progetti stai lavorando?
Esce a giorni Public Sex pubblicato da NERO edition con i testi di Cristiana Perrella, Goffredo Fofi e Elisa Cuter che raccoglie tutto il lavoro dei manifesti e dopo l'Incanto e Confine mi dedico al terzo volume della Trilogia, lavoro durato circa un decennio che racconta la fuga e il sogno di una mente artificiale.

Marialba Russo, Cult Fiction (della serie), 1978-80. Stampa su carta blueback. Courtesy l'artista.


La mostra Cult Fiction è aperta al pubblico presso il Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci di Prato fino al 6 giugno 2021. Per maggiori informazioni sugli accessi al museo, vi intiviamo a visitare il sito www.centropecci.it
 

BIOGRAFIA
Marialba Russo, napoletana, vive a Roma dal 1987. Studia pittura all'Accademia di Belle Arti di Napoli, si avvicina alla fotografia alla fine degli anni Sessanta e la sua attenzione è rivolta alle rappresentazioni religiose e alle feste popolari dell'Italia centromeridionale. Negli anni 1976 e 1977 pubblica Al ristorante il 29 settembre 1974 e Giornale Spray nella collana "i Quaderni dello sguardo" da lei ideata.

Accanto alla ricerca personale e all'attività espositiva collabora con Vogue Italia e altre testate italiane e straniere.

Nel 1979 con la sequenza fotografica Il parto, Marialba Russo rappresenta l'Italia in "Venezia 79 la fotografia" nella sezione "Fotografia Europea Contemporanea". Nel decennio successivo è presente in diverse manifestazioni e iniziative dedicate alla fotografia in Europa e negli Stati Uniti, mentre continua a collaborare con alcune Università Italiane dove tiene corsi di fotografia.

Prosegue le sue sperimentazioni sul linguaggio fotografico con i lavori Della serie delle centotrenta figure di spalle del 1981 e 1929 Ritratto di mio padre e mia madre del 1982. Nel 1989 la Galleria d'Arte Moderna Giorgio Morandi di Bologna propone una sua retrospettiva e la monografia Marialba Russo -Fotografie 1980-1987 accompagnata da una lettera di Alberto Moravia.

Negli anni Novanta l'autrice muove la sua ricerca in una riflessione piùintima e analitica, dove il paesaggio èmetafora di un tempo interiore. E' del 1993, edito da Mudima Milano, Roma, Fasti Moderni -il disordine del tempo, un racconto fotografico sulla Roma archeologica.

Epifanie del 1997 è una raccolta di fotografie di viaggio, a cui faranno seguito gli intimi racconti per immagini di Famosa del 1998 e del Il ritratto di me del 1999. Nell'ultimo decennio il Museo della Fotografia di Salonicco e il Jin Tai Art Museum di Pechino propongono in anteprima un'esposizione de l'Incanto il volume è edito da Skirà Milano nel 2004.

Espone con i lavori come una pietra su un ramo alla Certosa di Padula nella mostra Vanitas le opere e i giorni ideata da Achille Bonito Oliva, e con il Cantico della farfalla al Maxxi Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo per "Fotografia le Collezioni" a cura di Francesca Fabiani. Nel 2010 Camera Obscura di Salonicco edita la plaquette Worlds of Glamour and Banality a cura di Aris Georgiou.

Collabora alla mostra Alterazioni la materia della fotografia tra analogico e digitale a cura di Roberta Valtorta e Storie dal Sud dell'Italia dalle collezioni del Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo Milano.

Confine è il secondo volume di una trilogia iniziata con l'Incanto e dedicata al tema della ricerca che il soggetto -umano, animale, reale, simbolico -compie dentro e oltre sé stesso; il terzo volume èdi prossima pubblicazione. Con Travestimento edito da Postcart, nel 2016 riprende la la pubblicazione dei "i Quaderni dello sguardo".





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