Coconino Press ricorda Carlo Barbieri a dieci anni dalla scomparsa
Le testimonianze di Igort e Davide Reviati

Dieci anni fa a Bologna, la sera del 23 luglio 2009, moriva all'improvviso Carlo Barbieri, editore e co-fondatore della Coconino Press. Aveva 64 anni. Era uomo colto e dalle vaste letture, innamorato dei libri e dell'arte, in particolare di artisti lunatici, "bislacchi" e narratori delle pianure, curioso e attento a tutte le forme del racconto. Per tutti questi motivi Carlo, da sempre attivo nel mondo dell'editoria con la moglie Paola, nel 2000 aveva accettato con entusiasmo la proposta di Igort: portare il fumetto nelle librerie, intuendo prima di altri editori tutte le potenzialità espressive di questo linguaggio e la possibilità di allargarne il pubblico. Così è nata Coconino Press.
Oggi vogliamo ricordare Carlo con immensa gratitudine e con due testimonianze. Quella di Igort, autore, co-fondatore e per molti anni direttore artistico che insieme a lui ha dato vita e anima al progetto editoriale, e quella di Davide Reviati, uno dei grandi autori italiani che hanno trovato in Coconino affinità, passioni comuni e una casa dove far crescere le loro storie.

La testimonianza di Igort
Dieci anni fa, Carlo

Dieci anni fa ricevetti una telefonata dall'Italia. Abitavo lontano, in quei giorni, nei Paesi dell'est. La vocina affranta mi diceva che Carlo era morto. E io rimasi come si rimane quando qualcosa di troppo grande ti viene addosso e ti schiaccia. Senza respiro, sbigottito, in un altro mondo. Carlo, il mio compagno di giochi, era passato a un'altra dimensione e io, quella fu la più dolente certezza, non avrei più potuto parlare con lui, ascoltare la sua voce pastosa che rievocava giorni felici di una Bologna che non c'era più, di un'Italia che non c'era più. Aveva un gran talento umano, era un uomo meraviglioso, e non lo dico con lo zucchero sulle labbra, per quanto splendente un essere umano possa essere, beh, Carlo lo era. Era secco, ironico, intelligentissimo e sensibile. Scherzando gli dicevo "ma che sei? Una mosca bianca? L'unico distributore che legge i libri?". Per dire che nonostante lui ci lavorasse da decenni, in mezzo ai libri, non aveva messo su quel cinismo che spesso ho trovato negli addetti ai lavori. Carlo era stato la scintilla che mi aveva convinto a creare una nuova casa editrice. L'incontro con lui era stato un pomeriggio, mentre migravamo da un bar a un altro, ad annusarci, a capire di che pasta eravamo fatti, a trovarci stranamente d'accordo su un'enormità di cose. Ero tornato a casa con un curioso sorriso. Quel sorriso di chi ha trovato un fratellino, uno con cui si hanno cose da dire. Il resto è venuto in fretta. In tre mesi avevamo messo su la Coconino, sotto lo sguardo sbigottito di Paola, sua moglie. Perché Carlo era coraggioso, ai limiti dell'incoscienza. E da allora lui era lì, sempre presente, sempre innamorato delle cose che facevamo. Con Simone, che entrò subito dopo in casa editrice, come socio, litigava volentieri. Ma era un litigio privo di quell'astio che oggi impera. Perché Carlo era un buono. Uno cui si vuole bene. Quando le cose filavano come speravamo ricordo l'entusiasmo e la voglia di fare, il sorriso di chi vede realizzarsi il sogno.
Io ci parlo ancora con lui, comunque. Non riesco a farne a meno.
E so che è contento, perché quel sogno comune ha cambiato tante cose.

Igort

La testimonianza di Davide Reviati
Per Carlo
Ci sono persone che conosci da pochi minuti e ti pare di essere amici da una vita. Non capita spesso ma quando succede è una festa.
Ho conosciuto Carlo Barbieri nel 2008, alla vecchia sede di Coconino, a Bologna. Avevo portato in redazione il plico degli originali di Morti di sonno, che lui vedeva per la prima volta. Entravo con incoscienza e un po' di soggezione nella casa editrice più prestigiosa per il romanzo a fumetti, per ogni aspirante autore il nome di Coconino era incorniciato da un'aura sacra.
Dopo un po' mi comunicarono che il direttore mi convocava nel suo ufficio. Lo trovai seduto dietro la scrivania. Appena entrato mi disse di chiudere la porta, poi si guardò intorno furtivamente e mi chiese una sigaretta, bisbigliando. Fumammo insieme come due bambini che si nascondono. Non ricordo di cosa parlammo, del libro probabilmente e di poco altro, ma ricordo la luce del sole che filtrava come vergognandosi dalla piccola finestra in alto, dietro di lui, la polvere che galleggiava in controluce, l'ordine gaffoso della scrivania. E il suo sorriso. Sembrava di stare in una delle piccole cantine dei nostri palazzi, a Ravenna, dove ci rifugiavamo da ragazzini negli inverni piovosi. E come allora, in quella tana a mezza luce, stavamo progettando un azzardo, solo un po' diverso: l'uscita per Coconino di un libro da 350 pagine di un esordiente, almeno per il grande pubblico. Una scommessa. E un azzardo.
Non sono mai più riuscito a guardare Carlo come un uomo della sua età, era un coetaneo, ed essendo io un quindicenne sotto mentite spoglie, lui ne aveva al massimo sedici o diciassette. Tutto era giovane, non solo il sorriso e l'ironia, la generosità umana, ma anche la nobiltà dei modi e l'aria navigata e birichina erano quelle di un ragazzaccio smaliziato. Come un ragazzaccio aveva il dono speciale di rendere tutto nuovo, ogni cosa un'avventura. E di farti sentire a casa.
Coconino non diventò la mia casa editrice, diventò una nuova famiglia, mi sentivo come il figliol prodigo, come mi aspettasse da una vita.
Penso alle cene, alle tante risate, a quella volta che fermò il lavoro di tutta la redazione perché guardassero tutti, in religioso silenzio, il booktrailer di Morti di sonno che avevo portato con me, esultando come un tifoso in curva.
Ogni incontro con Carlo era una festa.
Una festa troppo breve. Abbiamo vissuto insieme una sola fiera, la più bella: a Napoli nel 2009 per l'uscita di Morti di sonno. Mi chiedeva sempre del prossimo lavoro, quando gli accennai l'argomento balzò dalla sedia: gatti? urlò. Poi ne parlammo meglio e si calmò. Aspettava il mio prossimo libro come si aspetta un treno quando si è in ritardo, aveva fretta. E non era questione commerciale, non solo, era la voglia di combinare presto un altro malestro, un altro azzardo.
Poi il 23 luglio del 2009 è scappato via in fretta e furia e non c'è più stato verso.
Sono già dieci anni.
Si parla spesso in queste occasioni di quello che ci ha lasciato, del vuoto, di quello che ci manca. Il tempo è stato troppo poco per me, mi manca il futuro. Mi mancano questi dieci anni. Non posso dire di più, sarebbe come disperarsi più dei parenti al funerale, più di quanti lo hanno conosciuto a fondo, ci hanno vissuto, lo hanno amato. La figlia Emma, i compagni di avventure, e la moglie Paola, compagna di una vita.
Una cosa voglio confessarla, non sono mai riuscito a cancellare il suo numero di cellulare dalla rubrica del mio telefono, non so perché. Per chiamarlo ancora, forse spero sempre che prima o poi mi risponda, di sentire la sua voce roca che ruggisce: Davide! Dove sei? Vediamoci subito, dobbiamo parlare!
Una festa.
Davide Reviati